“Il governo ha commesso due errori” scrive Luigi Mariucci, su L’Unità. “Il primo è stato quello di avere caricato di enfasi la modifica dell'articolo 18, quando invece si doveva mettere in primo piano il problema di chi cerca lavoro e non lo trova, o lo trova pessimo, precario e di scarsa qualità, e di chi il lavoro lo sta perdendo a seguito della recessione in atto. Il secondo è stato nel non perseguire la ricerca di un accordo di fondo con le parti sociali, nella convinzione che una iniziativa unilaterale del governo potesse essere più apprezzata dai mercati finanziari”.

“Nel merito il testo si presta a giudizi ambivalenti”, continua l’analisi del giuslavorista bolognese. “Nella parte relativa all'accesso al mercato del lavoro il messaggio sul ritorno alla figura prevalente del contratto a tempo indeterminato è giusto, e va in controtendenza rispetto alla legislazione delle destre degli ultimi dieci anni. Ma sul piano operativo le soluzioni sono molto carenti”.

Quanto alla modifica dell'articolo 18 – chiosa Mariucci – gli scontenti trasversali si sommano. Per alcuni è stata gravemente manomessa l'‘intangibilità’ della norma, per altri, al contrario, la riforma sarebbe insufficiente in particolare perché si dà troppo potere al giudice del lavoro. (…) Il punto è un altro: prevedere che sia il giudice, in ultima istanza, a decidere tra indennizzo e reintegrazione di fronte a un licenziamento ingiustificato rafforza la posizione contrattuale del lavoratore. Sarà lui, il lavoratore, a decidere se accettare l'indennizzo o perseguire la via giudiziaria. Il meccanismo, nel suo insieme, rafforza in realtà la via conciliativa, ma mettendo le parti su un piede di pari dignità. Questo è il punto di fondo”.