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Sono passati sessantadue anni da quel tragico 8 agosto 1956, ma il ricordo e l'emozione per il terribile incidente presso la miniera di carbone del Bois du Cazier a Marcinelle e per i 262 morti di quella catastrofe, tra i quali 136 italiani, non diminuiscono con lo scorrere del tempo. Anzi, le vicende del tempo presente - un tempo in cui il lavoro degli esseri umani sembra aver perso valore e considerazione, in cui l'attenzione alla salute delle persone che lavorano e all'igiene e salubrità degli ambienti di lavoro torna a diminuire, in cui i numeri degli infortuni sul lavoro continuano a testimoniare ogni anno di una strage di lavoratrici e lavoratori - rendono ancora più necessario e importante che di Marcinelle si continui a parlare, perché su quella tragedia non scenda l'oblio.
A Marcinelle si morì perché la sicurezza dei minatori nei cunicoli e nelle pieghe rocciose della miniera era meno importante del profitto e degli utili della società di gestione dell'impianto. A Marcinelle si morì perché gli strumenti di prevenzione e di sicurezza che, se utilizzati, avrebbero potuto ridurre il numero delle vittime, erano considerati un costo eccessivo per l'impresa (lo stabilì, con il senno di poi, una commissione di inchiesta sul lavoro nelle miniere di carbone costituita dopo l'incidente dalle autorità del Belgio). A Marcinelle morirono tanti italiani perché il nostro Paese, che tentava di rimettersi in piedi dopo la tragedia della dittatura fascista e della guerra, aveva stipulato con il Belgio un accordo per avere a prezzi agevolati grandi quantità di carbone (necessario per le esigenze dell'economia e della società di quel tempo) in cambio di braccia umane, di italiani di ogni regione che partirono per le miniere belghe attirati dalle promesse di un lavoro, di uno stipendio dignitoso, di una casa.
La realtà che trovarono i tanti connazionali che partirono per il Belgio negli anni '50 fu molto meno rosea rispetto alle promesse e alle aspettative. Ma se fu possibile, pur tra innumerevoli disagi, fare fronte a sistemazioni abitative precarie e a condizioni di lavoro massacranti, ciò che più colpì negativamente fu l'atteggiamento di rifiuto e di esclusione da parte dei cittadini del luogo verso gli stranieri, in particolare gli italiani. Difficoltà ad affittare un'abitazione, accesso negato a negozi e bar, discriminazioni di ogni tipo legate alla lingua e alla nazionalità. Un atteggiamento che, solo dopo la tragedia di Marcinelle e il suo terribile carico emotivo, che per le autorità e la società del Belgio diventarono una sorta di collettivo riconoscimento di una propria specifica responsabilità nella tragedia, cominciò lentamente ma irreversibilmente a cambiare in meglio.
Per questo, come sosteniamo da anni, Marcinelle parla ancora nel vivo di questo ventunesimo secolo. Parla ad una Italia che sembra avere dimenticato che nel proprio passato tanti suoi cittadini stanchi di fame e miseria hanno scelto la via dell'emigrazione, hanno conosciuto razzismo ed esclusione sociale, si sono battuti per i propri diritti sociali e del lavoro in Paesi stranieri. Una sorte che molti italiani anche oggi continuano a condividere, visto che il numero dei connazionali che lasciano l'Italia per trasferirsi all'estero è superiore al numero di quanti giungono qui da altri Paesi. E Marcinelle continua a parlare del tema della durezza delle condizioni di lavoro e della sicurezza nel lavoro, due temi su cui, come detto, il pensiero unico del liberismo trionfante e la pressione della competizione su scala globale hanno fatto registrare significativi arretramenti.
È anche per combattere tutto ciò che quest'anno, in occasione del sessantaduesimo anniversario del rogo di Marcinelle, faremo coincidere il nostro pensiero e il nostro ricordo con una attiva dimostrazione di mobilitazione e di lotta, partecipando alla manifestazione che a Foggia protesterà contro l'ennesima strage di lavoratori immigrati, morti in incidenti stradali nei furgoni dei caporali, i nuovi schiavisti di questo tempo. Perché non c'è alternativa alla qualità e alla dignità del lavoro, incompatibili con lo sfruttamento selvaggio delle persone. E perché il progresso sociale e civile del mondo del lavoro, tante volte richiamato da Giuseppe Di Vittorio proprio in quelle campagne pugliesi oggi teatro di negazione di diritti fondamentali e di violazione dei più elementari principi di dignità umana, ha certamente bisogno di ricordo e memoria. Ma, oggi come non mai, chiede soprattutto militanza e partecipazione attiva dei cittadini e dei lavoratori. Perché Marcinelle non si ripeta, per non avere più la strage dei morti sul lavoro, per una cultura del rispetto reciproco e dell'integrazione.
Fausto Durante è coordinatore dell'Area Politiche europee e internazionali della Cgil