“È raro vedere che sindacati nati divisi a un certo punto si riuniscano. È accaduto nell'America di Afl e Cio. Non si danno molti altri esempi. Il pluralismo sindacale prende origine dai movimenti politici della prima metà del Novecento, ciascuno con la sua storia e la sua identità. In altre stagioni, la spinta unitaria fu più forte. Forse l'unità si sarebbe potuta realizzare davvero. Ma qualcuno disse di no”. Oreste Pivetta intervista Bruno Manghi su L’Unità. Tema, l’unità sindacale oggi. E il sociologo, ex sindacalista Cisl, dopo aver ricordato le responsabilità del passato (ovviamente della Cgil) sul futuro possibile dice sì a una “unità d'azione strategica. Vale quello slogan: marciare divisi, per colpire uniti. Riconosciamo che la nostra vicenda sindacale è pluralista e costruiamo intese che diano prospettive, che indichino obiettivi. Attenzione: poi alla fine, se si accetta questa via, il problema sta nel tipo di rapporto che si instaura tra i gruppi dirigenti, rapporto che si configura nel rispetto, nella responsabilità, nel riconoscimento che tutti, per quanto diversi, siamo lì a fare lo stesso mestiere, a tutela del lavoro. Vorrei dire: è una questione di animus, cioè di amicizia. Mentre di questi tempi s'assiste a prove continue di litigiosità, competizione, rivalsa”.

E dopo aver ricordato che in passato, dopo le rotture si ricercavano davvero nuovi terreni d’unità, Manghi afferma: “Non c'era nessuna voglia di chiudere la porta. In compenso c'erano idee. Ecco oggi, per rimettere in piedi quell'unità, ci sarebbe bisogno di idee per il futuro: come sarà l'Italia di qui a cinque sei anni? come sarà il nuovo
welfare? Non mi pare che ci si pensi molto”.