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«I poveri muoiono prima» è il titolo di un documentario realizzato a Roma negli anni ’70 da un gruppo di registi vicini al PCI, tra cui spiccavano i fratelli Giuseppe e Bernardo Bertolucci. Ma se quel lavoro di indagine interessava i disservizi del sistema sanitario nella capitale, la povertà come elemento che riduce le aspettative di vita è da tempo oggetto di numerose ricerche e studi epidemiologici. Non solo ragioni ambientali connesse – malnutrizione e disagio abitativo per esempio – ma anche un processo genetico e metabolico che produce stress che si trasforma in malattia e che è connesso direttamente al lavoro e alla condizione di precarietà. "L’impatto biologico delle diseguaglianze" è il titolo della lectio magistralis che ha aperto il programma di sabato 15 settembre delle Giornate del Lavoro della Cgil a Lecce.
Sul palco delle Officine Cantelmo Paolo Vineis, professore di Epidemiologia Ambientale presso l’Imperial College di Londra e che coordina il programma Horizon 2020 “Lifepath” sulle diseguaglianze nella salute. “Le speranze di vita tra il 1993 e il 2003 e tra il 2009 e il 2013 sono aumentata ma non per le aree povere. A una maggiore diseguaglianza è associata anche una minore mobilità sociale tra generazioni. Soprattutto questo è vero nelle società liberali dove più forte è il pregiudizio positivo delle opportunità, come nel caso de sogno americano. La realtà è ben diversa”.
E al cambiare del lavoro è cambiato anche l’impatto biologico, afferma Vineis: “Da uno molto fisico si è passati a uno psicologico, connesso a due aspetti. Alle domanda di lavoro e al controllo della fase produttiva. Più è imprevedibile e pressante la domanda, meno si ha controllo della fase produttiva – le caratteristiche proprie di un lavoro precario – maggiore è l’impatto psicologico, lo stress, il logorio psico-fisico che ne deriva”. Ma in una fase di incertezza “anche un rapporto stabile può provocare stress, perché aumenta la domanda padronale che sa di poter far leva della paura della disoccupazione, e allo stesso tempo si è portati a mantenere un impiego anche se insoddisfatti”.
Una condizione che “influenza biologicamente, interagisce con funzionamento dei geni, del DNA. Lo stress attiva meccanismi metabolici ed è documentale che questo processo è maggiore nelle classi sociali meno abbienti. La possibilità di realizzazione, le incertezze connesse alla globalizzazione, lo squilibrio tra domanda, aspettative sociali e possibilità di realizzazione connesse al lavoro incidono sull’invecchiamento, lo stress avvia processi infiammatori che dal cervello si trasferiscono al resto del corpo”.