PHOTO
Il Made in Italy è una grande ricchezza del nostro paese, che ci pone ai primi posti nel mondo. Ma nell'agroalimentare c’è una questione aperta: quella dell’occupazione. Il primo passo per rilanciare il settore è dunque tutelare i suoi lavoratori. E’ quanto emerso nel dibattito “Made in Italy: il lavoro nutre il futuro”, che si è svolto oggi (13 giugno) a Firenze nel secondo giorno delle Giornate del Lavoro. Un’occasione di confronto tra le imprese e il sindacato sul futuro dei nostri prodotti, moderato da Rinaldo Gianola.
“Se parliamo egoisticamente come italiani, dobbiamo essere ottimisti in modo esagerato”. Così ha esordito Oscar Farinetti, proprietario di Eataly: “Basta andare all’estero per capire le potenzialità del nostro Made in Italy, siamo il paese con più biodiversità al mondo. Dobbiamo sempre ricordarci che la grande potenza del nostro agroalimentare la dobbiamo all’immigrazione: per esempio 500 anni è arrivato dal Sudamerica un immigrato malato di scabbia, il pomodoro, che ha cambiato radicalmente la nostra cucina. Allo stesso modo tanti anni fa sono arrivati l’uva e il caffè”.
La ricchezza della penisola, a suo avviso, “è data dai venti buoni dei nostri mari che si incrociano con i venti delle nostre montagne, così è nata la biodiversità. Nel settore agroalimentare l’Italia ha una potenza mostruosa. Non abbiamo limiti né confini: potremmo raddoppiare le esportazioni, in tre anni o massimo dieci, e i turisti stranieri potrebbero raddoppiare anche in un anno e mezzo. Oggi Dubai fa il doppio del turismo italiano, su questo bisogna riflettere e correggersi”.
Il microfono è poi passato a Maria Letizia Gardoni, delegato nazionale di Coldiretti Impresa Giovani. “Il mercato non rappresenta un ostacolo, ma ci mette di fronte grandi opportunità – ha detto -, che i giovani devono sfruttare al meglio possibile. Ci sono tanti problemi, come le lungaggini della burocrazia e il problema dell’accesso al credito: sono mali che ci portiamo dietro da tanti anni, ma che i giovani sanno scavalcare con la fantasia e con la loro inclinazione per l’imprenditorialità. Oggi 55mila giovani cercano di costruirsi un futuro ripartendo dalla campagna. I ragazzi hanno preso in mano il settore e lo stanno modernizzando: lo stiamo miscelando con le nuove tecnologie, saperi e competenze. Stiamo cercando, sulla nostra pelle, di portare avanti un modello di impresa basato sul settore primario”.
Per Gardoni “le generazioni che ci hanno preceduto hanno agito senza riflettere su ciò che lasciavano alle successive: i trentenni di oggi si trovano a portare sulle spalle decenni di scelte sbagliate, traiettorie non adatte, e lavorano con affanno. Da una parte questo peso ci dà il respiro corto, dall’altra aumenta la voglia di lavorare e non rifare gli errori delle generazioni precedenti”.
“Nel settore dell’agricoltura il livello dei prodotti non va insieme alla creazione di occupazione”. Così il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino. “Guardando i tassi di esportazione dei prodotti Made in Italia, vediamo che l’alimentare fa da traino con il 66%. Confrontando questo dato con l’occupazione media e la distribuzione del reddito notiamo però qualche distonia. Non si contrappone certamente il lavoro con la crescita potenziale di questi settori: bisogna però preservare la sostenibilità di ciò che produciamo. Una sostenibilità che ha molte chiavi di lettura: c’è quella ambientale, la qualità dell’immagine e anche la creazione di lavoro”.
Sorrentino ha quindi proseguito: “Come vediamo in alcuni decreti del Jobs Act, non c’è regolamentazione del lavoro nel settore agricolo, anzi andiamo verso il contrario. Il valore del prezzo del prodotto è sostenibile se dietro c’è una catena di valori che garantisce il lavoro, la dignità e la qualità. La competizione non si fa riducendo i costi: in agricoltura i diritti penalizzati sono evidenti, basti pensare alla contraffazione e quanto incide su prodotti e lavoro. Inorridiamo quando sentiamo esponenti istituzionali che vogliono chiudere i confini delle Regioni per evitare l’accoglienza dei migranti, che poi diventano nostri lavoratori. Da parte sua, il sindacato può favorire il processo di rilancio agroalimentare attraverso un solo strumento: il contratto nazionale, la contrattazione e gli accordi, la difesa del lavoro di qualità. Negli anni abbiamo denunciato i casi limite, ovvero i fenomeni di schiavitù nascosti anche dietro le grandi produzioni. Dobbiamo eliminare questa distonia”.
Per rilanciare il settore “servono investimenti”, ha detto il segretario. “Poi occorre la responsabilità degli imprenditori, insieme alla durabilità dell’investimento. Per questo Expo può essere una vetrina dell’Italia nel mondo, ma subito dopo la chiusura vorremmo sapere dal governo se l’investimento sarà duraturo. Vogliamo sapere se siamo il paese nel mondo che sostiene il cibo di qualità”. “Oggi ci sono 400mila lavoratori irregolari nell’agricoltura, c’è allora un tema che si chiama collocamento del lavoro: ci sono forte potenzialità ma stiamo anche arretrando. Il sindacato va nelle terre per denunciare i caporali, vediamo una vasta illegalità che penalizza sia i lavoratori sia le imprese. Se non c’è un sistema che protegge il lavoro, allora tutti gli sforzi che facciamo rischiano di cadere nel vuoto. Per esempio nel collegato agricoltura c’è la possibilità di recepire una norma semplice: ripartire dalla regolarità del lavoro”, ha concluso Sorrentino. (EDN)