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Pubblichiamo di seguito un breve estratto del volume “Il coltello e la rete”. Per un uso civico delle tecnologie digitali”, scritto da Vincenzo Moretti, Nicola Cotugno, Maria D’Ambrosio, Colomba Punzo, Alessio Strazzullo e Maria Teresa Turtoro, in uscita per Ediesse. Una quinta elementare, una prima Iti, un corso universitario. Oltre cento studenti, dai dieci ai quarant’anni, di Napoli. Tutti insieme impegnati in un progetto ambizioso. Né apocalittici né integrati, ma trasformati, in qualche modo, dalla scoperta di quanto è più utile e umana la tecnologia quando viene usata in maniera consapevole. Il volume sarà presentato a Napoli sabato 14 novembre alle 18.00 presso la libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri a Napoli
Quello che abbiamo deciso di sperimentare nella Quinta A (Istituto comprensivo Marino Santa Rosa, Ponticelli, Napoli, ndr) non è un progetto di alfabetizzazione digitale nel senso tradizionale del termine, perché questi alunni hanno già una naturale dimestichezza con le tecnologie digitali e si muovono bene tra smartphone, tablet e tastiere, e anche quello che non sanno lo imparano o lo impareranno presto.
Ci siamo detti che il nostro obiettivo di immigrati digitali – e il nostro compito di educatori – è piuttosto quello di fornire loro qualche strumento per essere fruitori consapevoli e non solo consumatori di tecnologia. Il nostro percorso attraversa e coinvolge per questo più discipline e media, con un approccio olistico che intende generare senso per colmare la distanza che si produce ogni giorno tra la tecnologia che avanza e la capacità umana di gestirla e interpretarla. Per farlo abbiamo pensato di proporre ai ragazzi un percorso di narrazione: immaginare una visione, raccontare dei fatti, interpretare le conseguenze che da questi fatti derivano.
Nel corso del primo incontro spieghiamo ai ragazzi che vogliamo parlare di essere umani, di macchine, di lavoro, di internet, di rapporti tra gli esseri umani e le macchine, dei cambiamenti che sono avvenuti e di quelli che ancora avverranno. Sì, vogliamo provare a immaginare il futuro insieme a loro: come saranno nel futuro le automobili, i telefoni, i computer, le macchine, le case delle persone?; quali cose faranno le macchine – dalla lavatrice all’iPhone – e quali le persone?; e se le macchine saranno sempre più intelligenti – più autonome, più capaci di prendere decisioni –, noi esseri umani saremo più o meno liberi, staremo meglio o peggio?; e come cambieranno il lavoro, l’amicizia, gli affetti, le vite delle persone?
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Il bello con i ragazzi è che le cose che tu pensi di insegnare a loro si intrecciano non solo con le cose che loro insegnano a te ma anche con quello che loro desiderano veramente sapere e imparare, e così nell’incontro successivo discutiamo dei loro disegni e delle loro riflessioni, in particolare di che cosa inventerebbero di nuovo per portare nel mondo qualcosa che ancora non c’è. Con un pizzico di semplificazione che, come è noto, appiattisce un po’ le differenze, si può dire che vengono fuori tre tipologie principali di invenzioni:
I. le nuove macchine – o anche macchine che già esistono e che possono essere migliorate –, quelle che ci aiutano a fare le cose di tutti i giorni, semplificandoci la vita, come per esempio un computer che quando tu parli e dici accenditi lui si accende, una bici con i comandi elettronici, lo zaino con le spalline massaggianti, la batteria che non si scarica mai;
II. le invenzioni modello “non mettere limiti alla fantasia”, marchingegni vari un po’ copiati dalla Tv e un po’ dai videogiochi che amplificano i sensi umani e rendono le persone un po’ più simili alle macchine o rendono le macchine un po’ più umane; tra gli esempi di questo tipo segnalo il casco che scannerizza un libro e non lo leggi ma lo ascolti con un ologramma che ti fa vedere le figure, una barretta di cioccolato chiamata “cocho pek” che fa addormentare le persone che toccano il cioccolato (come arma di difesa), le ali elettroniche, le auto volanti ad attrazione magnetica, il robot-mamma;
III. le invenzioni tipo “lampada di Aladino”, cioè quelle in cui si ripone la speranza di sconfiggere il male, le malattie, la morte; esempi di questo tipo sono la croce che ripristina la salute, il seme dei soldi, gli occhiali che ti fanno diventare supereroe.
Come è evidente, le risposte riflettono desideri e bisogni, paure e necessità con in più quel misto di scienza e magia che trovi sempre nei bambini, e anche nei geni, perché un poco ha ragione anche Artur C. Clark, l’autore di 2001 Odissea nello spazio, quando nella sua terza legge dice che: “Qualsiasi tecnologia abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia”. Comunque, anche questa volta, oltre ad apprendere cose nuove, e a connettere vecchie parole a nuove idee, siamo partiti dalle macchine del tempo, dagli ologrammi e dai cannocchiali e siamo finiti a discutere del fatto che non è che la Terra gira, che magari lei se potesse andrebbe dritta, che è lo spazio che è curvo, proprio come ha raccontato il fisico Rovatti con l’esempio della biglia che gira in un imbuto e non può fare altro che rotolare sulle sue pareti.
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Il Centro di riciclaggio creativo Remida è un progetto culturale ideato a Reggio Emilia nel 1996, promosso da Iren Emilia e Comune di Reggio Emilia, Istituzione scuole e Nidi d’infanzia e gestito dalla Fondazione Reggio Children Centro Loris Malaguzzi. Il Centro sostiene l’idea che i rifiuti, i materiali di scarto, i prodotti non perfetti e gli oggetti senza valore sono risorse e perciò raccoglie, organizza e rende fruibili gratuitamente per progetti culturali-educativi gli scarti della commercializzazione e della produzione industriale. Il centro Remida Napoli, che poi è quello dove andiamo noi, è vicino alla nostra scuola, sempre a Ponticelli, ed è gestito da tre capitane coraggiose che rispondono al nome di Rosaria D’Ambrosio, Paola Manfredi e Anna Marrone.
Il nostro scopo, adesso, è passare dalle idee ai prototipi; non i prodotti finali, che per fare quelli occorre altro tempo e altro lavoro, letteralmente dei prototipi, dei manufatti che partissero dalle idee e si avvicinassero a dei prodotti finali. Remida è proprio il posto giusto per fare cose di questo tipo, ma nel caso specifico è giusta anche l’occasione dato che quel giorno c’è in visita al centro il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.
Perché si trova da quelle parti? Perché in questo nostro bellissimo ma scombinato paese accade che anche i posti giusti come Remida siano a rischio chiusura, e così il nostro sindaco è stato invitato a venire a vedere di persona come funziona e quali attività vi si svolgono. Naturalmente io non so dire se il sindaco potrà evitare la chiusura del centro, ma sicuramente lo abbiamo aiutato a capire a che cosa serve. Ai ragazzi, divisi in gruppo, abbiamo dato il compito di scegliere un’invenzione tra quelle proposte nelle settimane precedenti e di farne un prototipo, scegliendo tra i materiali a disposizione nel centro.
Il risultato? Trascorriamo due ore di autentico fervore creativo, con i ragazzi che si aggirano per il centro – che hanno già visitato in altre occasioni – cercando i materiali adatti alla messa in opera dell’idea disegnata, poi ritornano alle postazioni di lavoro per provare, per vedere l’effetto, per modificare il progetto.
chiamiamolo lavoro di gruppo, chiamiamola intelligenza collettiva al lavoro, a me questa parte qui è piaciuta tantissimo e la considero molto importante dal punto di visto didattico. Aggiungo che mi è piaciuto anche l’ospite illustre, proprio lui, il sindaco, che si è aggirato curioso tra gli alunni indaffarati chiedendo informazioni su questo e quel progetto con i ragazzi orgogliosi di poter spiegare cosa stavano facendo e perché.
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