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Un paese si regge su due tipi di infrastrutture, quelle materiali e quelle immateriali. Le prime sono abbastanza semplici da individuare: strade, industrie, scuole eccetera. Le seconde un po’ meno: se per il presente uno pensa a internet, con le sue connessioni e le sue condivisioni, per il passato l’esercizio risulta più difficile. Quali sono le autostrade invisibili che hanno fatto l’unità del paese e, successivamente nel dopoguerra, lo hanno ricostruito? Sicuramente la scuola – che attraverso lo spostamento degli insegnanti lungo la penisola ha diffuso un flusso costante di cultura comune – e anche la radio e poi la televisione.
Però c’è almeno un altro reticolo che ha cementato un’Italia spesso considerata “troppo lunga per essere unita”: il contratto collettivo nazionale di lavoro. Lo spiega molto bene Aris Accornero nell’intervista che pubblichiamo nella pagina cosa questo abbia significato per le terribili condizioni di lavoro di braccianti e mezzadri d’Italia, soprattutto al Sud. E pure per la scuola italiana – scrive Giorgio Sciotto nelle pagine successive – il Ccnl, arrivato solo nel 1995, è stato decisivo, anche se in maniera assolutamente originale: ha cioè favorito quella contrattazione di secondo livello nelle sedi scolastiche che ha aiutato a costruire comunità forti, in grado di farsi carico delle questioni riguardanti lavoratori, studenti, territori in forte connessione con lo Stato unitario. Forse non è un caso allora che l’attacco alla coesione nazionale del paese – di cui la gazzarra della Lega è la manifestazione più rumorosa ma certo non l’unica – passa da un’offensiva sempre più decisa contro il contratto nazionale e contro la scuola pubblica.