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“Nonostante la buona performance registrata nel 2017, i dati preliminari sul Pil segnalano che la regione non ha ancora recuperato il divario accumulato negli anni precedenti con le principali regioni della Ue a essa simili per struttura economica e produttiva” (1). Sebbene la pubblicistica assegni alla Lombardia un ruolo economico rilevante per il Sistema Paese, Banca Italia, richiamando l’orizzonte europeo, ricorda che i nodi di struttura sono ancora presenti e, purtroppo, non risolti.
Non solo. Banca Italia ricorda anche che tendenzialmente la Lombardia non solo non ha recuperato le posizioni ante crisi, ma che la distanza dalle altre regioni, che nel frattempo hanno recuperato le posizioni del 2007 e cominciano a crescere, è progressivamente aumentata. Il Pil è un indicatore sintetico forse non esaustivo di molte variabili sociologiche, ma permette di inquadrare la capacità di accumulo di un sistema economico che, per definizione, impatta sulla società. Quando si presenta una minore crescita significa che è venuta meno la possibilità di creare tanto lavoro quanto se ne perde; o che il lavoro creato non realizza il valore aggiunto necessario per alzare il livello quali-quantitativo della domanda (salari).
Un problema di struttura che richiama la specializzazione produttiva è la dimensione di impresa. Nonostante la produzione abbia accelerato nel 2017 in quasi in tutti i settori produttivi, i maggiori incrementi di produttività si osservano nelle imprese di maggiore dimensione. Questi incrementi fanno il paio con la concentrazione dei prestiti. Riprendendo Marx e il ruolo della finanza nel processo di ristrutturazione delle imprese, si registra un andamento differenziato (2): “Sono aumentati i finanziamenti alle imprese della manifattura e dei servizi, a quelle medio-grandi e a quelle finanziariamente più solide”.
Sostanzialmente, il credito e gli incentivi pubblici (Industria 4.0) hanno favorito e sostenuto le imprese di maggiore dimensione, delineando standard economico-finanziari più alti, che le piccole imprese non possono traguardare. Un aspetto sottovalutato dalla politica e, in particolare, dai fautori del “piccolo è bello”. Il livello di conoscenza dei beni e servizi prodotti e domandati è cresciuto nel corso di questi ultimi dieci anni, delineando delle barriere alle entrate legate all’accumulo di sapere (3).
Si tratta di un processo storico e ben consolidato. A livello europeo si profila una concentrazione tecno-economica della conoscenza che potrebbe compromettere (svuotare) il concetto stesso di concorrenza (4). Se si considera poi che il 70% della ricerca e sviluppo (R&S) nazionale è concentrato in quattro imprese, tra le altre cose nemmeno così performanti rispetto alle pari livello europeo, al netto della Leonardo (5), possiamo ben comprendere come e quanto la Lombardia sia strutturalmente “inadeguata” nella sfida di paradigma che l’attende.
Riprendendo la sfida di struttura lanciata dalla Cgil con il Piano del lavoro e il Piano per lo sviluppo sostenibile, che prefigurano una programmazione economica tesa a cambiare il motore della macchina, all’insegna del lavoro buono e della crescita sostenibile, se consideriamo i 17 indicatori di Agenda 2030, con tutte le sue implicazioni di governo della transizione tecno-economica sottesa, possiamo declinare la sfida che la Lombardia dovrebbe affrontare. In fondo Banca Italia suggerisce delle politiche che siano almeno coerenti con le prospettive del quadro macroeconomico.
Crescita economica e povertà
La minore crescita del Pil per abitante della Lombardia rispetto alla media europea (6) suggerisce la predisposizione di provvedimenti coerenti per colmare il gap che ci separa dall’Europa e dai paesi più performanti. Dentro la scatola nera della minore crescita del Pil lombardo si nasconde la minore (coerente) propensione a investire in ricerca e sviluppo e, quindi, la bassa intensità tecnologica degli investimenti (7). In altri termini, la maggiore occupazione nell’industria non si traduce in valore aggiunto coerente in ragione della specializzazione produttiva, che non ha bisogno di significativi investimenti in R&S.
Senza disprezzare l’import di beni e servizi provenienti da aree arretrate (Pvs, Paesi in via di sviluppo), il fatto che questo rappresenti poco meno del doppio della media europea (Lombardia 21,5%, Europa 13,6%) significa che la Lombardia con difficoltà guarda all’Europa. Le importazioni dai Pvs sono alte per tutti i paesi che nel corso di questi ultimi quindici anni hanno rallentato la loro crescita economica: Grecia 30,6%, Spagna 29,1% ecc. Non si tratta di “valorizzare le filiere di eccellenze quali driver di sviluppo competitivo attraverso l’integrazione tra produzione, servizi e tecnologia in un’ottica di Industria 4.0” (8), piuttosto di creare nuove eccellenze per soddisfare la domanda emergente che l’attuale sistema produttivo lombardo non soddisfa.
L’agevolazione al credito per piccole e medie imprese (Pmi) e artigianato ha senso solo nella misura in cui gli investimenti sottesi anticipano la domanda e non importano conoscenza da paesi terzi. Gli incentivi fiscali per i capitali di rischio, il trasferimento tecnologico (sempre che la R&S sia realizzata nel territorio), la tutela della proprietà (brevetti) dovrebbero cambiare segno. Diversamente, come già ricordato in precedenza, queste policy favoriscono la concentrazione verticale dei settori a domanda di sostituzione, senza prefigurare delle iniziative tecno-industriali per anticipare la domanda crescente.
L’effetto è quello di una crescita della “popolazione in severa deprivazione materiale” pari a 6,4% (9) e, paradossalmente, un elevato Pil pro capite, pari a 36.600 euro, ben oltre la mediana europea (30.600 euro). Sono fenomeni conosciuti e si manifestano quando un sistema economico ristagna o si allontana dalla crescita.
Domanda e offerta di lavoro
Quanto illustrato in precedenza spiega l’elevata presenta di Neet, pari a 19,9%, contro una mediana europea del 13,7%, l’alta percentuale di abbandono (prematuro) scolastico e la bassa percentuale di titoli di studio terziario. La Lombardia registra un tasso di abbandono scolastico molto alto rispetto alla mediana europea (Lombardia 12,7%, Europa 7,9) e un livello di titoli di studio terziario significativamente contenuto: Europa 34,6%, Lombardia 19,3%. L’ultima informazione statistica suggerisce un’ulteriore analisi: se i giovani laureati della Lombardia sono molti di meno della mediana europea, perché fanno così fatica a trovare un lavoro coerente? Teoricamente sarebbero facilitati rispetto ai coetanei europei, ma nei fatti incontrano molte più difficoltà.
Si manifesta, quindi, un mismatching tra domanda di lavoro a basso contenuto di conoscenza e l’offerta di lavoro che incorpora sempre maggiori livelli di sapere e saper fare. Si tratta di un problema di struttura che non può essere nascosto dietro la retorica dell’eccellenza, oppure dietro la retorica del rafforzamento degli Its. L’adattamento ai cambiamenti del mercato del lavoro suggerita dalla Banca d’Italia presuppone infatti solo un adattamento rispetto all’attuale tessuto produttivo, rimuovendo la necessità di prefigurare una riconversione della domanda di lavoro.
La Regione propone solo un rafforzamento dell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, ma non fa i conti con il contenuto della domanda di lavoro. Perché un conto è intermediare un mercato del lavoro permeato da attività ad alto contenuto conoscitivo, un altro conto è l’intermediazione in attività produttive a basso valore aggiunto e a basso contenuto tecnologico. Se l’economia pubblica deve guidare i processi di cambiamento, domanda e offerta di lavoro dovrebbero anticipare la domanda di beni e servizi, non assecondare la domanda e i servizi in essere.
Pubblica amministrazione
Attraverso un progetto dell’Università di Göteborg e finanziato dalla Commissione europea possiamo valutare l’efficacia dell’azione della pubblica amministrazione (10). Riprendendo il rapporto di Banca Italia (p. 17) si osserva che “la Lombardia si posiziona al di sopra della media nazionale, ma ancora lontano dalla media europea”. In qualche misura, Banca Italia ripropone l’importanza dell’intervento pubblico coerente e qualificato rispetto alla soluzione dei problemi. La Cgil utilizza Agenda 2030, le istituzioni pubbliche che dovrebbero abbracciarne l’orizzonte, non sono ancora attrezzate.
(1) Banca Italia, giugno 2018, “Economie regionali, L'economia della Lombardia”
(2) Un aspetto importante dell’analisi di Marx, ben evidenziato da P. Sylos Labini, consiste negli aspetti monetari e creditizi che condizionano il ciclo economico
(3) S. Lucarelli e R. Romano, 2017, in “Lavoro e innovazione per riformare il capitalismo”, Ediesse
(4) Il riferimento è relativo a un saggio in corso di valutazione per “Moneta e Credito” di S. Lucarelli e R. Romano
(5) R. Romano, http://sbilanciamoci.info/linnovazione-italia-molte-ombre-poche-luci/
(6) Nel 2015 la mediana europea era pari a 1,6, mentre in Lombardia era pari a 0,8
(7) La spesa in R&S della Lombardia in rapporto al Pil è pari a 1,3%, quella dell’Italia è pari a 1,4%, mentre la mediana europea è pari a 1,6%
(8) Questa affermazione è nel programma della giunta della Regione Lombardia
(9) In Europa è pari a 5,8%, ma in contrazione
(10) Quality of Government dataset; cfr. nelle Note metodologiche la voce “Indicatore della qualità dell’azione pubblica nelle regioni europee”