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Prove di unità sindacale. Sono tanti i motivi che inducono Cgil, Cisl e Uil – dopo anni di rapporti piuttosto freddini – a tentare di riannodare i fili di una strategia comune. Una necessità, più che una decisione dettata da motivazioni valoriali, perché le condizioni di chi lavora – lo ha ricordato di recente la stessa Susanna Camusso – peggiorano ogni giorno di più, responsabile principale il governo, e c’è da trovare sostanziali convergenze per arrivare all’autunno pronti per affrontare – tutti insieme – le battaglie in agenda, dai rinnovi pubblici alla riforma della riforma Fornero.
Non si parte certo da zero. Diverse le iniziative che vedono già da diverso tempo a livello territoriale, in particolare dall’inizio della grande crisi, i sindacati procedere di comune accordo su singoli problemi o per la risoluzione di difficili vertenze aziendali. Senza dimenticare l’operato che unitariamente, in ambiti diversi, ha permesso di raggiungere altri importanti risultati: dalla grande vertenza contro la riforma della “buona scuola” alla battaglia sulla trasparenza degli appalti. Anche se è soprattutto sui temi più generali, quelli che condizionano la politica economica e sociale del paese, che si avverte maggiormente l’urgenza di una ritrovata azione unitaria.
È precisamente con questo spirito che lo scorso 13 luglio si sono riunite – a distanza di tre anni dall’ultima volta – le segreterie unitarie di Cgil, Cisl e Uil. Un appuntamento di enorme rilievo, che ha attirato a giusta ragione l’interesse dei più autorevoli osservatori di cose sindacali, tutti concordi nel sottolineare l’importanza del fatto che, con il preciso intento di superare le contrapposizioni sul tappeto, le tre confederazioni sindacali avessero deciso di riprendere un metodo di discussione collegiale, senza posizioni ingessate o precostituite.
A deludere le aspettative di molti alla fine del vertice ha però contribuito il dover constatare l’insuccesso del tentativo da parte di Cgil, Cisl e Uil, proprio sul tema della riforma della contrattazione – considerato tra quelli all’ordine del giorno il più importante –, di approdare a convergenze degne di nota. Con la conferma, anzi, delle posizioni che da tempo sul tema erano state rese note: la Cgil e la Uil propense a rinnovare prima i contratti in corso d’opera e poi ad affrontare la riforma, la Cisl – che nei giorni scorsi ha presentato una sua proposta sull’articolazione del ccnl e sul ruolo del secondo livello – disposta ad aprire fin da subito “la pratica”.
Uno scenario per certi versi paradossale, se si considera che in alcuni settori, in primis gli alimentaristi, la stagione dei rinnovi ha già di fatto preso il via, dopo la predisposizione della piattaforma contrattuale (rigorosamente unitaria). E con i sindacati dei settori chimico-energia-manifatturiero che addirittura, sempre unitariamente, si apprestano ad approvare nelle assemblee dei lavoratori le piattaforme per 11 ccnl di altrettanti comparti, tutti in scadenza entro la fine del 2015.
È sostanzialmente per tale motivo che la Cgil sostiene che la discussione sul sistema generale della contrattazione non può avvenire fermando la ruota dei rinnovi in corso (per un approfondimento si veda l’intervista a Franco Martini: Rassegna del 23 luglio); rinnovi che piuttosto si dovrebbe tentare di trasformare, laddove possibile, in veri e propri incubatori di contenuti innovativi da introdurre nel nuovo sistema da mettere a punto. Dopo, e solamente dopo, la confederazione di corso d’Italia si dice pronta a ragionare unitariamente sull’elaborazione di un nuovo modello che non rappresenti semplicemente la manutenzione del vecchio.
Alla base di questo orientamento, che la Cgil – come detto – condivide con la Uil e che per certi versi rappresenta il trionfo del buon senso in ambito sindacale, c’è un timore: e cioè che dietro a tutta questa spinta a definire nei tempi più rapidi possibili un nuovo modello contrattuale, ci sia il tentativo di Confindustria di determinare una proroga delle scadenze dei rinnovi (una vera e propria moratoria), quando non di imporre il proprio modello, che prevede – facendo leva sulla decadenza dell’accordo separato del 2009 – lo spostamento sul secondo livello dell’attività contrattuale, con il fine ultimo di eliminare il concetto di adeguamento al costo della vita a favore dell’unico parametro rappresentato dall’andamento del ciclo economico e produttivo del settore.
Il problema è che, se prevalesse il punto di vista dell’associazione di viale dell’Astronomia, a uscire dalla contesa in corso fortemente ridimensionata sarebbe, in buona sostanza, la funzione fondamentale della leva contrattuale. Può il sindacato assecondare tutto ciò? Sarebbe arduo solo pensarlo. E allora, non ci vuole molto a capire che, se la posta in gioco è di tale enorme portata, è proprio questo il momento per serrare le file e abbandonare ogni timore che alla fine a prevalere possano essere “le scorribande della politica”, per assecondare – come ha fatto di recente la numero uno della Cisl Anna Maria Furlan – l’impulso a definire al più presto un’intesa per il nuovo corso contrattuale.
Come si concluderà la partita, comincerà a esser chiaro solo dopo la pausa agostana. Per il momento, una sola cosa è certa: al tavolo da gioco le organizzazioni dei lavoratori hanno una sola carta che può garantire loro qualche concreta chance di vittoria: la ripresa di una convinta, condivisa e duratura strategia unitaria. Se non ora, che a vacillare sono le storiche garanzie apprestate dalla contrattazione collettiva, quando?