“Veniamo da mesi, anzi anni, di polemica politica contro il Patronato e le organizzazioni che lo promuovono. Si parla di arricchimenti dei sindacati, attraverso i servizi messi a disposizione. La verità è una sola: il Patronato supplisce alle carenze di uno Stato non sempre corretto e leale con i cittadini, e spesso inefficiente; che promette diritti, senza preoccuparsi di verificare le condizioni di effettivo esercizio da parte di tutti. Per questo l’Inca, insieme alla Cgil, nel corso dei suoi settanta anni di storia, ha inteso imprimere il segno della confederalità nell’azione di tutela individuale e con grande senso di generosità, nonché di responsabilità, agisce difendendo e promuovendo quei diritti scolpiti nella nostra Carta Costituzionale che, spesso, rimangono lettera morta”.

Morena Piccinini, presidente dell’Inca, inizia la sua lunga riflessione sul Patronato dal tema più difficile: da quel consolidato senso comune che oggi vede inganni dietro a tutto quel che rimane di collettivo, di gratuito, di garantito dai diritti. L’assunto ufficiale di chi attacca l’intermediazione del Patronato è apparentemente innocuo: lo Stato eroghi direttamente i servizi, come avviene in molti altri paesi. “Bene, è quello che vorremmo anche noi, perché ciò ci consentirebbe di svolgere quel ruolo di consulenza previdenziale e socio assistenziale, accompagnando ogni singolo cittadino nelle scelte che è chiamato a fare”, replica la presidente. Ma la verità è che lo Stato sta arretrando, sta andando nella direzione opposta. Di qui l’assunto sotterraneo, il non detto: che faccia il mercato. Cioè, paghino i cittadini.

Di Giovanni. Quali sono le carenze più gravi?

Piccinini. La “supplenza” del Patronato si verifica su tre fronti. Primo: lo Stato spesso non è leale con i cittadini. Noi vorremmo che si potesse arrivare nel nostro Paese all’automaticità dell’erogazione dei servizi. Vorremmo che gli enti fossero efficienti al punto tale da non costringere le persone, come invece avviene purtroppo nella generalità dei casi, a peregrinazioni estenuanti, quanto dannose per la loro vita, per ottenere prestazioni cui hanno diritto. In realtà, nella stragrande maggioranza dei casi ci ritroviamo di fronte a procedure talmente farraginose, tal- mente disseminate di trappole, con il principio di “miglior favore” non più applicato in buona parte delle prestazioni previdenziali e socio assistenziali, tanto da aver bisogno di qualcuno che ti protegge.

Di Giovanni. Ma è sicura che chi attacca la Cgil voglia lo Stato più efficiente, o non voglia piuttosto che subentri il mercato?

Piccinini. È esattamente così. Aggiungo al secondo punto che lo Stato, di fronte alle novità si affida al Patronato perché spesso si rivela una macchina burocratica farraginosa che finisce per complicare la vita delle persone. Mi riferisco, ad esempio, a quanto è successo sul tema dell’immigrazione. Le file lunghissime davanti alle Questure a cui abbiamo assistito negli anni, davvero scandalose, sono state eliminate solo attraverso un accordo con cui i patronati si sono fatti carico di espletare e inoltrare gratuitamente le procedure per il rinnovo e il rilascio dei titoli di soggiorno, ancor prima del riconoscimento del corrispettivo rimborso ministeriale. Lo Stato riesce a gestire le procedure inerenti all’immigrazione solo grazie alla gratuità dell’intervento dei patronati. E lo fa lucrando, peraltro, facendosi pagare dai cittadini il rilascio dei titoli di soggiorno, come se il servizio fosse erogato direttamente dagli uffici pubblici, senza l’intermediazione dei patronati. Terzo punto: il Patronato è stato utilizzato per il processo di riorganizzazione di tutta la Pubblica amministrazione, a partire dagli enti previdenziali, attraverso l’esternalizzazione gratuita di funzioni affidate a questi istituti. Abbiamo potuto reggere l’impatto di questa domanda di tutela solo per l’alto senso di responsabilità che abbiamo. Noi non siamo innamorati di un Patronato così. Anzi, vorremmo uno Stato che funzioni in tutti e tre gli aspetti: che sia leale, che sia capace, che riesca a riorganizzarsi senza scaricare gli oneri sul cittadino e sui suoi intermediari. E in questa visione si deve migliorare la funzione del Patronato interpretandola come complementare che si espli- ca in una virtuosa collaborazione con lo Stato e non come una semplice esternalizzazione dell’impegno pubblico verso i cittadini e le cittadine. In realtà, abbiamo l’impressione che si voglia andare verso un mercato dei servizi piuttosto che ad una funzione di complementarietà del Patronato.

Di Giovanni. In questo modo il Patronato potrebbe scomparire?

Piccinini. Assolutamente no, questo non significherebbe affatto che il Patronato perde la sua ragion d’essere; anzi, se si affermasse questo modello, questi istituti potrebbero relazionarsi “alla pari” con la Pubblica amministrazione e sviluppare ulteriormente l’area della consulenza nell’accezione più ampia del termine. In questo contesto, il Patronato si candida ad accompagnare un processo positivo di riorganizzazione della Pubblica amministrazione attraverso un rapporto virtuoso con i cittadini e le cittadine, senza scaricare su di essi gli oneri economici e burocratici. Di fronte a questo è ancora più stridente la posizione del governo attuale nei suoi ultimi interventi. Invece di pensare a una riorganizzazione del servizio pubblico, si propone di mettere queste prestazioni sul libero mercato. È una soluzione che oltre a non risolvere il problema, scarica ancora di più sui cittadini il disagio di rivolgersi a un mercato selvaggio, a volte, senza scrupoli. Ecco perché parlo di grande generosità e grande senso di responsabilità dell’organizzazione, della Cgil nel suo complesso e dei lavoratori del Patronato, che si sono fatti carico di moltissimi problemi.

Di Giovanni. Può spiegare nel dettaglio come il Patronato deve cambiare?

Piccinini. Per esempio, quando lo Stato annuncia delle innovazioni sulle procedure per il riconoscimento di determinate prestazioni legate al welfare o al lavoro deve porsi in un rapporto di collaborazione, di responsabilità e complementarietà rispetto agli Istituti di patronato, in grado di rendere effettivamente esercitabile quel determinato diritto. E in questo vedo l’evoluzione del Patronato che può, sempre di più, intercettare anche i bisogni inespressi, accompagnando le persone più giovani, dopo gli studi fino al pensionamento. Immagino, quindi, un Patronato capace di sviluppare una grande azione di consulenza, un grande ruolo nei rapporti con tutti gli istituti del welfare, anche locale, che identifichi i nuovi bisogni attraverso le richieste dei cittadini, fornendo alla confederazione strumenti per l’esercizio di un’azione negoziale più efficace verso la Pubblica amministrazione. Quindi, immagino un terreno di intervento che si allarga, non che si restringe. Non vorrei per il futuro un Patronato che si identifichi come un ammortizzatore della Pubblica amministrazione, ma piuttosto un soggetto con competenze e funzioni di tutela più estese.

Di Giovanni. Quanto è cambiato il ruolo del Patronato negli ultimi anni?

Piccinini. Per tanti anni c’è stata una sorta di classicità di temi, dalla costruzione del percorso pensionistico prevalentemente negli anni a ridosso della pensione, alla parte riferita alla tutela della salute in senso classico, con interventi in caso di infortunio o malattia professionale. Con grandi battaglie, certo, e anche grandi risultati. Nell’ultimo decennio, l’ambito si è allargato moltissimo. Quando si parla di tutela della salute, oggi si pensa anche alla prevenzione, alla formazione e all’informazione, alla tutela a 360 gradi, con importantissime conquiste come, ad esempio, le sentenze della Consulta in tema di danni da emoderivati. Così come tutto il lavoro fatto sul sostegno all’handicap legato alla legge 104, che ha fatto del Patronato l’accompagnatore dell’intera famiglia. Lo stesso vale per la previdenza, i cui ambiti sono diventati molto complessi e che investono la persona durante tutta la vita; altrettanto vale per ciò che riguarda la contrattazione bilaterale, la previdenza complementare e la sanità integrativa. Lo spettro qui si allarga molto, e di conseguenza si amplia non solo la competenza richiesta, ma anche il rapporto con la persona. Noi diventiamo i consulenti personali. Per non parlare di tutta l’evoluzione dell’ultimo decennio sul tema delle migrazioni e dei nuovi cittadini. Noi abbiamo voluto unire l’accompagnamento del lavoratore italiano all’estero con la tutela del lavoratore migrante in Italia, perché tutto l’aspetto della mobilità delle persone ha assunto una complessità maggiore rispetto al passato.