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“Nel nostro Paese siamo costantemente in emergenza, nei disastri sismici e ambientali, così come nelle politiche industriali: molte delle crisi che abbiamo affrontato potevano essere gestite in modo diverso, se solo si fosse lavorato d’anticipo per prevenire i danni di scelte rivelatesi sbagliate". Lo ha detto Alessio Gramolati, responsabile del coordinamento Politiche industriali della Cgil nazionale, ospite di Italia parla, la rubrica di RadioArticolo1, per parlare di politica industriale.
Si pensi alla vicenda dell’Ilva di Taranto, ha osservato il sindacalista: "Da anni, la Cgil e la Fiom sostengono la necessità di costruire un piano siderurgico all’altezza. Non avere una politica che mitiga il rapporto tra lavoro e ambiente porta al dramma attuale, dove non vedo chi vince, perché perdiamo tutti. A Piombino, invece, si sta lavorando per costruire un’offerta tecnologicamente e ambientalmente compatibile con il tessuto del territorio, e quindi in quel caso le possibilità ci sono”, ha detto il dirigente sindacale.
“Un altro campo dove bisogna intervenire è quello delle energie rinnovabili e della chimica verde, dopo che l’Eni ne ha annunciato lo smantellamento. Grazie alla nostra tenacia e alla determinazione dei lavoratori chimici abbiamo mantenuto aperta la possibilità della green economy, segnalando al Paese quanto fosse importante tale opportunità. Più in generale, dobbiamo mettere in campo scelte di politica industriale per guardare al futuro del Paese dal punto di vista dello sviluppo economico e del lavoro, sulla falsariga di quanto ha fatto la Cgil, rivisitando e attualizzando in questi anni di crisi il grande Piano del lavoro di Di Vittorio. Non è possibile che l’ultimo atto di quella che è la seconda grande manifattura d’Europa per eccellenza e creatività risalga a circa trent’anni fa, quando Andreatta e Carli decisero il superamento del sistema delle Partecipazioni statali. Successivamente, l’Italia ha perso il 25% della sua capacità produttiva, e, malgrado tutto, è un Paese che ha ancora delle carte da giocare: bisogna scegliere la direzione e le carte che stanno nella parte alta della competizione, ovvero scuola, università, ricerca, formazione”, ha osservato ancora il sindacalista.
Una ricerca Ocse rivela che i Paesi con il più alto debito hanno le peggiori performance nell’istruzione. "Quindi, evidentemente, esiste un nesso tra investimenti e sviluppo. Oltretutto, da noi ci sono anche scarse capacità di connessione fra tali ambiti di conoscenza e il sistema produttivo. Se quest’anno abbiamo festeggiato i trent’anni di Internet tra l’università di Pisa e gli Stati Uniti, e le imprese sono tutte nate laggiù e non da noi ci sarà un perché: è chiaro che qualcosa non ha funzionato nel nostro Paese. Negli Usa c’è un monte d’investimenti pubblici sull’innovazione a disposizione delle imprese, cosa che da noi non c’è. Oltreoceano esiste un’associazione – Sba, Small business agency – che favorisce tale capacità delle piccole e medie imprese di generare startup. Perciò, ogni anno, lo Stato assiste queste imprese nel generare innovazione, con risultati eccellenti. Noi avremmo bisogno di politiche del genere, che purtroppo non ci sono. Al contrario, in Italia c’è troppa discrezionalità e approssimazione nelle sfere della politica, che tende ad accreditarsi dove conosce e quindi non è favorevole all’innovazione, che invece mette in campo attori inediti e sconosciuti”, ha concluso l’esponente Cgil.