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E se invece di cominciare da un sostantivo, informazione, e da un aggettivo, partecipata, cominciassimo da due verbi, informare e partecipare? Ma sì, ha ragione K.E. Weick, con i verbi viene meglio, c’è più soggettività, più senso e significato, più divenire. Anzi, facciamo così, cominciamo da partecipare, il verbo che in variegati contesti continua a rappresentare un aspetto chiave del nostro essere cittadini in questo controverso inizio di terzo millennio, mentre ci ritroviamo a fare i conti con la crisi delle ideologie e delle identità, dell’Europa e delle nazioni, delle economie e dello Stato sociale.
Partecipare è importante, ma dirlo non basta, soprattutto se il tuo destino, quello della tua famiglia, quello dei tuoi vicini di casa, è nei fatti sempre più nelle mani di uomini soli al comando; se il film che vedi proiettato nella tua vita di tutti i giorni si intitola Il leaderismo che avanza, che conquista spazio non solo nel dominio delle cose grandi. Certo, avere come “capi” Barak Obama, Angela Merkel o Silvio Berlusconi non è la stessa cosa, e tuttavia questo leaderismo arriva giù giù fino ai tanti “caporali” che ti complicano la vita, agli uomini senza qualità che, come diceva Carmine, delegato di un’azienda chimica napoletana, “si mettono il cappello storto in testa e pensano di essere Napoleone”.
Ebbene sì, se vogliamo parlare seriamente dei nostri due verbi, informare e partecipare, conviene tenere d’occhio il contesto, la necessità di ritrovare ragioni forti intorno alle quali incardinare il nostro bisogno di socialità e di partecipazione, l’urgenza di rompere la spirale che fa sì che il leader carismatico, mediatico, idolatrato, sia la sola risposta alla scarsità di élite e classi dirigenti. Se la politica con la P maiuscola, quella che rappresenta la sfera dell’esistenza autentica di ciascuno di noi (secondo la definizione di Hannah Arendt), diventa come l’Araba Fenice è un problema. È un problema l’overdose di individualismo che ci fa essere meno responsabili verso noi stessi, gli altri e il mondo che ci sta intorno. È un problema la perdita del motivo di fondo, della capacità di concatenare tra loro gli eventi e interpretarli sulla base di un denominatore condiviso.
È un problema continuare a pensare al sindaco, al presidente della Regione o del Consiglio, al responsabile della bocciofila o della cooperativa culturale come a Wolf, il personaggio inventato da Tarantino che risolve i problemi, al quale affidare il nostro futuro mentre pensiamo ad altro. No, così non funziona; la democrazia bisogna conquistarla ogni giorno, bisogna stare sul punto, metterci impegno, tempo, responsabilità, fatica, e tutto questo si interseca da un lato con le forme, le strutture, i luoghi nei quali riconoscersi e attraverso i quali avere la possibilità di far valere la propria opinione nella costruzione del discorso pubblico, e dall’altro con la necessità di ritrovare sollecitazioni, motivazioni, ragioni che spingano ciascuno di noi a partecipare in maniera consapevole. Altrimenti che succede? Niente, anzi no, qualcosa succede: rimangono tutte chiacchiere, anche quelle relative ai nostri due verbi; magari belle chiacchiere, persino chiacchiere esemplari, ma sempre chiacchiere restano e le chiacchiere, come diceva don Carmine ’o filosofo, stanno a zero.
Detto del contesto, si può ricordare che le nuove tecnologie della comunicazione, con il loro impatto sulle libertà negative (libertà da) e positive (libertà di) di ciascuno di noi (secondo la celebre distinzione di Isaiah Berlin), sulle capacità e le abilitazioni di cui ciascuno di noi può disporre – e qui il pensiero va alle teorie di Amartya Sen –, rappresentano il terreno d’incontro par excellence dei verbi informare e partecipare. Insomma, se è vero che le relazioni sociali sono la lente attraverso la quale valutare i condizionamenti e le opportunità per le libertà di ciascuno, che una diseguale dotazione di diritti, di risorse e strumenti necessari a tradurli in libertà determina una forte asimmetria nella realizzazione delle capacità e nelle libertà delle persone, ecco che l’allargamento delle possibilità di partecipazione a reti sociali, culturali, politiche, ludiche, collegate allo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione, rappresenta un’occasione oggettiva di ampliamento delle libertà e dunque delle opportunità delle persone.
Non a caso il web è diventato uno strumento sempre più importante per dare visibilità a soggetti che nei contesti nei quali vivono non avrebbero altrimenti le stesse possibilità di aver voce. Poter diffondere informazioni sui propri obiettivi, sulle strategie adottate, poter comunicare con minoranze o governi di altri paesi può fare la differenza: è valso anni fa con il movimento delle donne messicane “Mujer a Mujer”, che attraverso internet acquisirono le informazioni necessarie per poter negoziare le condizioni di lavoro in un’impresa tessile statunitense appena installata sul loro territorio, sta valendo oggi per le “rivoluzioni” nei paesi del Nordafrica.
In questo quadro la nascita del “cittadino reporter”, lo sviluppo dell’inchiesta partecipata, rappresenta un’ulteriore straordinaria modalità di sviluppo della partecipazione su un terreno strategico come quello della produzione delle notizie. Gli esempi non a caso cominciano ad essere tanti, a partire da quelli raccontati su queste stesse pagine da Michele Kettmaier e Stefano Iucci.
Accennerò qui soltanto ad altri due esempi, che faranno da corollario alla considerazione conclusiva. Il primo si riferisce alla versione italiana di Wikinews, che ha più di sei anni e raccoglie ad oggi oltre ottomila articoli; Wikinews ha il pregio di essere espressione di una comunità aperta a tutti gli effetti (licenza Creative Commons Attribution 2.5) e di sollecitare un approccio “neutrale” alla notizia, e il difetto di essere più un Bignami delle notizie pubblicate sui principali quotidiani e settimanali più che un vero e proprio produttore moltiplicatore di news.
Business Exchange , la figlioccia digitale di Business Week, dà invece la possibilità al lettore di proporre un argomento che, una volta approvato dalla redazione (a me è accaduto con Decision Making Process, Riken e Collaborative management), permette agli iscritti di inserire link relativi ad articoli suddivisi per news, blogs, reference, jobs; il vantaggio è che di norma vengono proposte news più selezionate, qualificate, interessanti; lo svantaggio quello di essere molto poco “open”, a partire dalla lingua, “english only”.
La considerazione conclusiva è che anche senza sottovalutare riflessioni critiche ed equivoci, in fondo alla strada del citizen journalism non c’è l’informazione di professione ma l’informazione di qualità. Dite che è una strada difficile, tortuosa? Rispondo che lo sarà tanto più quanto più profondo sarà il cambiamento. Per me è solo questione di tempo, poi anche questo futuro diventerà inesorabile. Come il passato.