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Il 2 marzo 1948, a Petralia Soprana in provincia di Palermo, la mafia uccide Epifanio Li Puma, socialista, dirigente del movimento contadino per l’occupazione delle terre incolte. Li Puma è freddato da due colpi di fucile provenienti da due uomini a cavallo mentre lavora il suo pezzo di terra davanti al figlio.
Un omicidio efferato che va ad aggiungersi all’ampio corollario di morti nell’ambito del movimento operaio e contadino per mano della criminalità organizzata nel secondo dopoguerra siciliano.
Nel 69° anniversario della morte lo ricordiamo attraverso le parole che Girolamo Li Causi scriverà sulle colonne de «l’Unità» a pochi giorni dal suo assassinio il 17 marzo 1948, esattamente una settimana dopo il rapimento di Placido Rizzotto:
“Il 2 marzo a Petralia Soprana in provincia di Palermo, grosso comune al centro di una decina di borghi contadini, disseminati in una zona in cui impera sovrano il latifondo, mentre zappava il suo spezzone di terra, presente il figlio undicenne, veniva trucidato il vecchio compagno Epifanio Li Puma capo contadino che da 30 anni lottava contro i baroni, contro gli Sgadari, i Mocciari, i Pottino. Il delitto per ammissione stessa delle autorità, è politico: tutti sanno chi lo ha premeditato, organizzato ed eseguito. Anche la polizia lo sa. Li Puma veniva freddamente atterrato da due briganti della banda di Dino, banda che vive grazie alla complicità dei baroni che le assicurano ospitalità, sussistenza, protezione. Niente giustifica l’efferato delitto. Li Puma, padre di nove figli, contadino poverissimo aveva trascorso tutta la sua esistenza lavorando la terra, dirigendo la lega contadina di Petralia, organizzando la cooperativa “La Madre terra” che da tre anni è in lotta con i signori feudali per il possesso meno precario della terra, per più umane condizioni di esistenza. Dal Marchese proprietario, al campiere che indica ai banditi la vittima perché non sbaglino, ai sicari rotti ad ogni delitto la catena è limpida. Ma la polizia come già per altre decine di contadini capilega trucidati in questi ultimi mesi non vuole scoprire i mandanti e archivia le pratiche. Lo spaventoso è che le autorità hanno rinunziato persino ad andare in fondo e a scoprire chi sono stati gli assassini dell’avv. Campo, vicesegretario regionale della democrazia cristiana ucciso mentre in macchina si recava da Alcamo, in provincia di Trapani, ad Agrigento. Scelba ha mandato giù un suo ispettore centrale; ma questi dopo poche ore di permanenza a Palermo, ha fatto ritorno a Roma senza aver concluso nulla. La democrazia cristiana non ha interesse a scoprire gli assassini dell’avv. Campo, perché come si ammette dall’opinione pubblica siciliana, specialmente da quegli strati che più sono qualificati per esprimere opinioni e giudizi, su tali misfatti, dovrebbe scoprire i suoi legami con quelle organizzazioni criminose che vanno sotto il generico nome di mafia.
Non erano ancora trascorsi sette giorni dall’assassinio di Li Puma ed ecco che a Corleone, altro grosso borgo al centro anch’esso di una delle più caratteristiche zone del latifondo, in provincia di Palermo, sparisce il segretario di quella Camera del Lavoro e presidente di quella sezione reduci e combattenti, Placido Rizzotto, partigiano garibaldino. Fino a questo momento nulla si sa della sua sorte. Centinaia di contadini divisi in isquadre battono la campagna, esasperati, trepidanti, seguiti dall’ansia di tutto un popolo che non sa darsi pace della efferatezza del delitto. Ma si sa che l’ultima persona che il Rizzotto incontrò la sera del mercoledì 10 marzo, fu il gabellotto del feudo «Drago» proprietà del barone Alù e della baronessa Cammarata: feudo dal quale, dopo due anni di vana richiesta da parte della cooperativa «Bernardino Verro», solo nel dicembre scorso i contadini erano riusciti a strappare 50 ettari di terra.
Ebbene fino ad avanti ieri mattina Pacciardi, vice-presidente del consiglio per l’ordine pubblico, ignorava che in Sicilia era stato assassinato Li Puma ed era scomparso Rizzotto. E Scelba? Non sappiamo se anche lui lo ignorasse: però sappiamo che egli si sta dando un gran da fare per occultare le prove della complicità di agenti dello spionaggio americano con il banditismo siciliano. Precisamente egli intima ai suoi organi periferici di consegnargli le copie eventualmente esistenti della lettera del bandito Giuliano al giornalista americano Stern, nella quale il bandito chiede armi pesanti per la lotta contro il bolscevismo e da indicazioni pratiche per migliorare i suoi collegamenti con gli agenti americani.
A Palermo il governo regionale ricostituitosi con la presidenza dell’avvocato Alessi ma con la partecipazione dei gruppi di destra che lo avevano prima gettato nel fango per poi averlo più prono ai loro voleri, venerdì scorso si è rifiutato di rispondere ad una interrogazione urgente del Blocco del Popolo che gli chiedeva conto della fine del Rizzotto e delle gravissime condizioni della pubblica sicurezza in Sicilia. Ieri esso ha risposto, ma in modo tale che nessuno dubita più della complicità della democrazia cristiana con le forze della più bieca reazione isolana.
Forse è per questo che la direzione del Partito repubblicano in modo deciso e quella dei saragattiani in modo meno esplicito ma altrettanto significativo, hanno sconfessato rispettivamente il repubblicano e il pisello che per mascherare il carattere di destra del suo governo Alessi volle a tutti i costi imbarcare nella Giunta.
Pacciardi e Saragat avvertono che l’azione ferocemente antipopolare del governo Alessi e la complicità di questo governo con le forze del delitto, suscitano la unanime indignazione e vogliono separare le loro responsabilità.
Accenniamo solo di sfuggita per completare il quadro, ai legami che vanno stringendosi sempre più tra il banditismo, organizzazioni criminose genericamente intese col nome di mafia, dipendenti quasi tutte dal Blocco liberale e dalla democrazia cristiana, con le organizzazioni neo-fasciste che fanno capo all’Armata Italiana di Liberazione del generale Messe e che trovano aiuto nella formazione di gruppi clandestini di polizia ausiliaria presso il comando siciliano degli agenti di polizia. Ma Scelba lo sa?
La frontiera dell’Italia con l’America è la Sicilia. Questo fatto deve far riflettere molto tutti gli italiani affinché seguano con la massima attenzione lo sviluppo della situazione siciliana.
Sappiamo che il Fronte Nazionale democratico popolare è stato invitato dal Fronte regionale siciliano, ad intervenire affinché la grande provocazione già tentata in altre regioni dal governo De Gasperi e dall’imperialismo straniero, abbia a spuntarsi anche in Sicilia” («l’Unità», 17 Marzo 1948).
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale