Da più di un anno l’Italia è sotto l’attacco della speculazione finanziaria e ha già approvato diverse riforme nel segno dell’austerità: tagli alla spesa sociale, innalzamento dell’età pensionabile, lotta contro la “rigidità” del mercato del lavoro, nessuna nuova tassa per i più ricchi. In questo, le differenze tra il governo Berlusconi e quello Monti non sono state radicali: tanto è vero che il secondo ha dovuto in gran parte mantenere le promesse fatte dal primo nella lettera al Consiglio Europeo inviata il 26 ottobre 2011.
Monti è stato molto diverso nello stile, nella capacità di dialogo con le forze sociali e nella lotta all’evasione fiscale, che però è rimasta molto superficiale.
Non bisogna stupirsi della continuità tra i due governi e per due motivi. Primo, perché il partito di Silvio Berlusconi è quello che ha più parlamentari nella maggioranza di governo. Secondo, perché molti dei “professori” del governo Monti condividono la stessa analisi della società italiana che facevano i ministri del governo Berlusconi. Secondo loro, il problema del Paese è l’eccessiva spesa pensionistica, le troppe garanzie sociali e sul lavoro, la poca voglia di lavorare degli italiani.
E’ questa analisi che non corrisponde alla verità e la prova è che le politiche che si sono ispirate a questa idea della società italiana hanno fallito ripetutamente negli ultimi 15 anni. Facciamo alcuni esempi che possono chiarire meglio la situazione. Si dice che il mercato del lavoro è troppo rigido, ma secondo il ministero del Lavoro l’80% delle nuove assunzioni sono contratti precari per i quali non esiste un salario minimo e nessuna garanzia contro i licenziamenti. In Italia molti lavori si svolgono gratis – questo articolo, per esempio, se pubblicato su un giornale italiano non sarebbe retribuito. I lavoratori precari non hanno diritto alle ferie, alla malattia e alla maternità e gli stipendi di chi ha un “posto fisso” sono più bassi anche di quelli spagnoli.
Si dice poi che il welfare italiano è troppo generoso e che la gente preferisce vivere di quello piuttosto che lavorare. L’Italia e la Grecia sono gli unici paesi europei che non hanno il reddito minimo di base. La metà dei lavoratori italiani non ha diritto all’indennità di disoccupazione. Il fondo nazionale per i 2,6 milioni di “non-autosufficienti” (disabili, malati, anziani ecc.) era prima della crisi di 400 milioni di euro annui (cioè 13 euro al mese ciascuno). Oggi è stato completamente azzerato. Secondo il Forum Nazionale del Terzo Settore, l’Italia spende meno della media europea in diversi settori del welfare: il 10% in meno per la sanità, il 61% in meno per la famiglia, il 75% in meno per la lotta alla povertà.
Si dice anche che gli italiani, se lavorano, hanno un impiego pubblico oppure sono poco produttivi. Secondo la CGIA di Mestre, in rapporto alla popolazione, l’Italia è seconda solo alla Germania per minor numero di dipendenti pubblici. Secondo i dati Ocse relativi al 2010, un italiano lavora in media più di 1700 ore l’anno, mentre un tedesco si ferma a 1.400 e un olandese a 1.337. E’ vero, la produttività è calata tra il 2000 ed il 2009 dello 0,5% medio ogni anno, mentre in Germania cresceva del 3,3%. Ma questo è dovuto ai bassi investimenti e alla crescita della precarietà: prodotti con meno valore aggiunto e lavoratori meno formati perché stanno di meno in azienda.
E’ vero invece che l’Italia è un Paese fermo perché ingiusto: la Danimarca è il paese europeo con la più alta mobilità sociale, l’Italia è il secondo con meno mobilità sociale dopo la Gran Bretagna. In Italia i figli degli architetti fanno gli architetti, chi ha il padre medico farà il medico e così via.
Cosa potrebbe fare Monti? Primo, dare una nuova “mission” al sistema industriale italiano, il secondo più importante nella UE dopo la Germania. Possiamo, per esempio, produrre trasporto pubblico invece delle auto che non si vendono più oppure possiamo far crescere l’industria dello slow food e quella culturale. Negli ultimi 20 anni alcuni tra i maggiori gruppi industriali italiani (per esempio Pirelli e Benetton) hanno spostato energie dalla produzione di beni alla rendita finanziaria e immobiliare. Bisogna invertire questa tendenza.
Secondo, rendere più remunerativo il lavoro e far crescere la domanda interna che invece cala da molto tempo, anche per i beni alimentari.
Terzo, ridistribuire il carico fiscale: oggi lavorare è la cosa meno conveniente dal punto di vista delle tasse ed è troppo facile portare i propri profitti nei paradisi fiscali.
Quarto, combattere la corruzione che oggi è la vera causa dell’aumento della spesa pubblica. La Corte dei conti ha calcolato che costa allo Stato 50 miliardi annui, la metà di quanto spendiamo per avere il secondo sistema sanitario migliore al mondo.
Il governo italiano dovrebbe fare queste cose per dare la garanzia vera che il Paese tornerà a crescere e potrà veramente ripagare il suo debito. Dovrebbe, ma non lo farà. Monti non condivide l’analisi della società che abbiamo fatto e in più la sua maggioranza non gli permetterebbe di fare queste cose: non ha potuto riformare davvero il sistema fiscale, non può lottare veramente contro l’evasione e la legge contro la corruzione è ferma in parlamento. La sua maggioranza non glielo permetterebbe perché è basata sul partito di Berlusconi e su un partito (l’Udc) che è stato alleato di Berlusconi fino al 2008 e che ha molti esponenti che sono stati coinvolti in inchieste sulla corruzione e la mafia. Ma i politici italiani dicono ai loro cittadini che non si può cambiare politica e non si può votare “perché così vuole l’Europa”. E per gli italiani rimanere in Europa è la cosa più importante e Monti sembra essere l’uomo giusto per questa missione.
http://Italia2013.org
(articolo uscito sul quotidiano danese Dagbladet Information)
Lettera agli amici europei sulla crisi italiana
Per far ripartire l'Italia Monti dovrebbe rilanciare l'industria, rendere più remunerativo il lavoro, combattere la corruzione, redistribuire il carico fiscale. Dovrebbe, ma non lo farà DI MATTIA TOALDO, ITALIA2013.ORG
9 agosto 2012 • 00:00