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Perdere 'latti i cardaciu', il latte con tutta la pentola, dicono in sardo. La pentola è l'Alcoa: se chiude, addio Sulcis dove i posti nella filiera dell'alluminio sono 5mila, tra diretti e indiretti, nella provincia più povera d'Italia. "Le multinazionali vogliono guadagnare sempre di più. L'Alcoa se ne vuole andare non perché qui è in crisi, ma per fare più soldi. E allora lo Stato deve intervenire, non può permetterlo". A parlare è Antonello Casula, 32 anni. Lui lavora nella multinazionale dell'alluminio da una decina d'anni e oggi (30 agosto) è giunto a Roma con una settantina di colleghi per urlare la propria rabbia in un presidio di due giorni davanti al ministero dello Sviluppo, nell'attesa del doppio incontro tra le istituzioni in calendario per venerdì 31. A raccogliere la sua voce e le altre riporate qui ci ha pensato RadioArticolo1 durante una diretta dal sit-in che sarà bissata venerdì mattina alle 11.30
Casula fa il tecnico ambientale dell'Alcoa. Si è laureato a Iglesias, alla triennale, ma la sua università - che doveva fornire personale qualificato per la filiera dell'alluminio - ora non c'è più. Ha chiuso per colpa dei tagli del precedente governo. Ennesima batosta che testimonia la desertificazione di cui gli operai parlano come un ritornello. "Siamo alla base della catena di produzione, se chiudiamo lì è finisce tutto", insiste il giovane che ha due figlie piccole, di quattro e due anni. "Prendere e partire, abbandonare la mia terra, sarebbe troppo dura. Lo farò quando non potrò dargli da mangiare".
Al suo fianco c'è Ennio, che sembra già rassegnato alla sconfitta. "Agricoltori, pastori, operai, siamo tutti alla fame. Lottiamo per il futuro dei nostri figli, ma le nostre istituzioni si sono svegliate tardi. Il problema - dice - è tutto politico. L'intera Sardegna fa gli abitanti di Roma e i nostri voti non sono tanti rispetto all'Italia, ecco il punto. Ho poche speranze, siamo stati dimenticati".
In piazza c'è anche Roberto Puddu, segratario generale della Cgil del Sulcis. Proviamo a ricostruire la vicenda con le sue parole. "Abbiamo firmato un accordo lo scorso 27 maggio che prevedeva un impegno da parte di Alcoa a favorire le trattative per la cessione dell'impianto, ma ci sono motivi fondati da parte nostra per dubitare che l'abbia fatto, perché all'ultimo giorno utile del negoziato con una società tedesca è naufragato tutto. Allora c'è venuto un dubbio. Poi abbiamo scoperto in gioco c'era anche la Glencore, un'altra multinazionale, alla quale però era stato chiesto di non disturbare la trattativa con i tedeschi. Ecco, sulla scorta di questa scoperta, abbiamo chiesto al governo di riconvocare la Glencore e pensiamo che la trattativa si può riaprire. Siamo qui solo per questo, per discutere l'ipotesi della cessione dell'Alcoa alla Glencore".
A protestare c'è pure Francesco Porcu, sindaco di Villa Masargia (4mila abitanti, disoccupazione giovanile al 60%) e coordinatore dei primi cittadini del Sulcis. "L'Alcoa - afferma - deve onorare l'accordo del 29 marzo scorso nel quale s'impegnava a non bloccare la produzione senza prima cedere tutto. Per questo ci opponiamo fermamente alla chiusura. Qui si tratta di salvare non solo i posti esistenti, ma darne di nuovi ai giovani. Il governo nazionale e quello regionale - conclude - devono rendersi conto che non si tratta solo con lo spread. C'è in ballo la vite delle persone. Io invito qualsiasi ministro ad amministrare per un giorno soltanto un Comune come il mio, per vedere quanta gente si rivolge quotidianamente al sindaco perché non ce la fa ad andare avanti. Vengano da noi, se ne renderanno conto".
(in collaborazione con RadioArticolo1)