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Il libro è decisamente particolare e interessa da vicino la formazione sindacale. Nasce nel 1963, allorquando la Fiom di Milano decide di bandire un concorso di scrittura fra i propri iscritti. Una sorta di premio a chi tra gli operai raccontava meglio la propria vita a quell’epoca, contrassegnata da lotte assai dure nelle fabbriche. ‘Meccanoscritto’ è il titolo dell’opera, e gli autori sono gli scrittori Ivan Brentari (colui che materialmente ha ritrovato i manoscritti negli archivi), Wu Ming 2 (pseudonimo di Giovanni Cattabriga) e il collettivo MetalMente, tutti facenti parte a loro volta del Wu Ming, collettivo di autori provenienti dalla sezione bolognese del Luther Blissett project. Il libro, che è stato presentato a Lecce nel quadro delle Giornate del lavoro, presenta tre piani di scrittura che s’intrecciano fra loro.
“È un gioco continuo di rimandi fra il passato e il presente, fra il ‘63 e il 2015, oltre a dodici ‘infrastorie’, che si avvalgono dei relativi fatti di cronaca, dove i racconti degli anni Sessanta sembrano scritti oggi, tanto sono attuali. Con una sola differenza: gli scritti di allora ci restituiscono una voglia di mobilitazione e una consapevolezza della forza del movimento operaio. Al contrario, i racconti di oggi danno un senso di stanchezza, sconfitta, e forse anche di rassegnazione. Il valore del libro è straordinario per il modo in cui è stato concepito. Come dicono gli americani, è un’operazione di public history, con un collegamento con il presente. È un patrimonio che esce fuori dagli archivi e viene fatto rivivere, ed è una straordinaria fonte storica, perché ci racconta della crisi del capitalismo, di ristrutturazioni e delocalizzazioni. È anche un libro generazionale, perché, non a caso, il racconto dell’oggi parte dal G8 di Genova del 2001 e si può confrontare con la Celere del ministro dell’Interno Scelba dei primi anni ’60, fino ad arrivare agli scontri dell’Autunno caldo. Un libro di militanza sindacale, che si può considerare una sorta di romanzo polifonico e un progetto culturale per chi l’ha scritto, che mette a confronto un periodo di forte individualismo, dove però il racconto è collettivo, con quello che avviene oggi”, osserva Debora Migliucci, responsabile Archivio storico Cdl Milano. “Un libro collettivo, perché gli autori, a loro volta, costituiscono un collettivo, e poi perché racconta di una collettività fatta di operai e operaie, ed è nello stesso tempo collettivo perché si rivolge, a sua volta, al collettivo dei metalmeccanici. È una scommessa, perché scommette su un mondo di lavoratori per il futuro. Allora viene da chiedersi: il mondo del lavoro può ancora considerarsi un soggetto collettivo? Oggi molto spesso no, si risponde, forse inconsciamente sì. Il libro è un po’ anche un’autoanalisi di classe, è un lavoro di laboratorio coordinato collettivamente. Ampi settori del mondo del lavoro lottano ancora tutti assieme, però ci sono molti ambienti lavorativi dove il sindacato è scarsamente radicato, e dove invece a prevalere è l’aspetto individuale. Lì c’è bisogno di una nuova solidarietà. Nel ’63 l’elemento collettivo era talmente prevalente che vivevano la loro individualità in modo assolutamente marginale, secondario, inclusa la vita privata. Tutto era pubblico, assorbito dalla politica. I racconti di allora sono commoventi, mentre quelli del 2015 sono radicalmente diversi, con persone che hanno uno scarso senso della collettività, di appartenenza, assai lontano da quello di cinquant’anni prima, sia all’interno del sindacato che del partito. Un senso d’identità di cui oggi si sente un grande bisogno”, sostiene Marcello Scipioni, segretario generale Fiom Milano.
“Molti i livelli di lettura del libro: per definirlo, si parla di opera sinfonica, Omero, psicanalisi. È unico il libro, ma associa tanti diversi contenuti. Degli anni ‘60 si conosce solo il boom economico, l’Italia che diventa un Paese industriale, mentre si guarda assai meno alla storia del movimento operaio, alle vicende individuali degli operai. Perciò, i racconti del ’63 hanno il pregio di mettere in evidenza che quel miracolo era dovuto soprattutto alla produttività dei lavoratori. Qua e là affiora il tema dell’emigrazione, che in quegli anni era interna, ma come se fosse estera, e c’è la storia economica del Paese, quello che sono diventati l’Italia e il lavoro. Noto una dicotomia molto forte: l’individuale e il collettivo, che serve per descrivere il libro. Il Meccanoscritto lo dice in quasi tutte le pagine: il lavoro non è un bene economico come tutti gli altri, non ha solo domanda e offerta; nel lavoro c’è molto di più, c’è la realizzazione dei soggetti, a livello individuale e collettivo, da un lato. C’è il senso di appartenenza del gruppo, la soddisfazione sociale di tutti, dall’altro. Il lavoratore non lo si può trattare allo stesso modo di un bene di mercato. Da qui, derivano implicazioni di politica economica, che saranno ben diverse negli anni ‘80 e ‘90. L’unica approssimazione possibile è costituita dalla teoria di John Maynard Keynes”, rileva Claudia Sunna, docente di Macroeconomia all’università del Salento.