PHOTO
Dita di dama
Chiara Ingrao
MILANO, LA TARTARUGA , 2009
pp. 232, euro 16,50
L’autunno caldo del ’69 e il contratto dei metalmeccanici, Piazza Fontana, lo Statuto dei lavoratori, Reggio Calabria e di nuovo loro, i meccanici – “Nord e Sud uniti nella lotta” –, e poi le conquiste civili, e anche l’aborto, che non è più cosa da signore borghesi che vogliono rifarsi il salotto, come pure urla fuori di sé il compagno dirigente. Lei è Maria, dita di dama, dita da pianista, nel puzzo della fabbrica a diciott’anni – la fabbrica è la romana Voxson, il sogno era fare la dattilografa –, storia privata che si fa pubblica nel grand tournant a cavallo tra i 60 e i 70. Storia di una ragazza che cresce in fretta, che diventa delegata e s’innamora di uno degli odiati marcatempo che le rubano il respiro. Storia raccontata da Francesca, mandata all’università a studiar legge, e che però la vita piena di Maria invidia. Storia infine dell’autrice, di Chiara Ingrao, che in quest’ultimo libro ritorna sul suo vissuto di femminista e sindacalista per dare voce a una donna, a un gruppo di donne – non solo Maria ma ’Aroscetta, Ninanana, Paolona, Mammassunta e le altre –, e alla loro esistenza in quegli anni “allegri e feroci”. Una vicenda che potrebbe apparire semplice – un microcosmo che riassume tutti i tratti tipici della mobilitazione collettiva del tempo –, e che al contrario, ansie paure rabbie entusiasmi a riempirla, è di una straordinaria complessità. Che poi questa complessità solo la letteratura, il racconto, il romanzo invece che la sociologia sia in grado di restituire è una riflessione sulla quale qui è fuori luogo incamminarsi. In ogni caso meglio ascoltare le parole dell’autrice, Chiara Ingrao. E la prima domanda che le rivolgiamo riguarda appunto la scelta del soggetto: la donna.
Rassegna La tuta è di genere femminile, ma se parliamo di tute blu – simbolo di quegli anni, la Mostra Rossa pensata per il centenario della Cgil ne aveva montato una straordinaria sequenza –, se parliamo di tute blu, dicevo, la mente va subito al maschile. L’autunno caldo, la temperie in cui Maria prende coscienza di sé, è l’operaio maschio, forte e deciso, meglio se un po’ rude. La donna, il soggetto al centro della tua storia, resta ai margini.
Ingrao Sul ruolo delle donne nelle lotte di allora, non solo l’autunno, gli studi oggi non sono pochi. La donna però, è vero, nell’immaginario resta solitamente in ombra. Non c’è, esiste solo l’operaio, e l’operaio è spesso, visibilmente, un macho.
Rassegna A raccontarlo così è soprattutto il cinema.
Ingrao Certo, e la cosa non rende affatto la realtà di quegli anni. Ken Loach ci ha dato storie a tutto tondo, nella cultura italiana questo sembra impossibile. Io però non avrei mai potuto narrare una storia diversa. Ho la mia personalissima esperienza e sono una donna, non sarei capace di pensare storie che non siano legate anche all’interiorità. Poi, all’epoca, è con le donne che ho intrecciato le relazioni più forti. Il mio femminismo è stato un percorso tutto particolare, vissuto con le operaie. Ho lavorato nella Fiom: donna e giovane, il ruolo che mi venne assegnato non poteva essere di primo piano. Ma questo mi permetteva più libertà. Quella “esclusione” è stata per me una fortuna, mi ha permesso di conoscere assai più da vicino le compagne, le lavoratrici che incontravo. Quando tutto questo si è mescolato alla volontà, al desiderio di dare visibilità a quell’esperienza, io non te lo so dire. Però il punto di partenza è personale, è la mia vita di allora.
Rassegna Un’esperienza straordinaria, la Fiom e la Flm erano la parte più avanzata del sindacalismo italiano…
Ingrao Un’esperienza davvero unica. La grande scoperta – decisivo in questo Bruno Trentin – fu che ognuno poteva affermare, giorno per giorno, la propria dignità. Io ho qualcosa da dire, io posso di più: è questa la parte migliore di quegli anni. Oggi, se la donna non c’è, e ritorniamo al discorso di prima, l’operaio maschio viene raccontato comunque solo per la lotta…
Rassegna … per la capacità di scardinare il potere del padronato…
Ingrao ...dimenticando che alla lotta si associava una grande partecipazione. E che la partecipazione significava crescere: nel tuo cervello c’è molto di più di quel che ti viene richiesto in fabbrica, questo era il messaggio, rifletti su chi sei e come puoi progredire giorno per giorno. Un messaggio che tante operaie, tanti operai misero in pratica: provando momento dopo momento a crescere, appunto, a migliorarsi. In altri termini, non è che ci siamo rotte la testa intorno alla scelta del leader, per noi la politica era trasformazione quotidiana.
Rassegna Beh, magari qualche leader c’era già, non occorreva rompersi troppo la testa…
Ingrao Sì, certo, ma...
Rassegna No, no… era solo una battuta. Poi è la verità ma si tratta di un altro discorso, quel che dici si comprende benissimo. Torniamo al libro. Le dita di dama sono le dita di donne che fabbricano televisori. Oggi le donne sono invece dall’altra parte, dentro la tv, il corpo offeso non più dalla fabbrica ma dal consumo televisivo.
Ingrao Due di loro, reincontrate di recente, mi hanno raccontato che poi erano felici di costruire televisori. Erano produttrici ma anche spettatrici. Di una tv che rappresentava uno strumento di progresso. Adesso è un po’ come mettersi dall’altra parte dello specchio, dentro una televisione che è cambiata in peggio. Però non vedrei tutto nero. Persino oggi, un esempio le inchieste di Iacona, in questa tv che pure è così pietrificata, basta si apra uno spiraglio, e s’intravvede subito quali porte potrebbero spalancarsi.
Rassegna La tua scrittura scava in una fase della storia d’Italia che si tende a rimuovere. È anche un lavoro sulla memoria, su ciò che il paese era in quegli anni…
Ingrao Sì, nella storia di quelle donne c’è la storia d’Italia. Il problema, il problema drammatico, è la cancellazione a cui stiamo assistendo, la sostituzione dell’identità reale degli italiani con un’identità fittizia: Barbarossa, l’identità padana e via elencando. Io credo che la sinistra sottovaluti questa operazione culturale, che alla fin fine l’abbia subìta. Si pensi a come vengono raccontati gli anni settanta: sono gli anni del terrorismo punto e basta, il ’68 a far da fucina, ricostruiti fra l’altro solo dagli ex terroristi. Credo si tratti di un fenomeno drammatico: un revisionismo che incide, deformandola, sulla percezione dell’oggi e del futuro, costruendo una storia del paese altra da quel che è stata davvero.
Rassegna Ogni capitolo del tuo libro è scandito da un passo della Commedia. Una scelta che riguarda ancora storia e memoria?
Ingrao Mi piaceva mischiare i linguaggi. Citare Dante era un modo per dire che la storia di Maria e delle altre operaie sì, è micro, ma si muove anche in una dimensione diversa: ha che fare con la storia grande.