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Il dato arriva dall’ex direttore generale della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola: il riciclaggio di denaro sporco, nel 2011, è stato pari al 10 % del Pil. Mentre, secondo Sos Impresa, le mafie italiane dispongono di una liquidità di 65 miliardi di euro, con un utile di circa 25 miliardi. È partendo da queste cifre allarmanti che a Pollenzo (Cn) – al secondo giorno degli Stati generali di Cgil Lombardia – si discute di “Crisi, imprese, credito e finanza infiltrata”, una sessione che declina il tema della legalità con l’economia e la finanza.
“Il ruolo degli intermediari finanziari nel combattere, o viceversa favorire, il riciclaggio di proventi illeciti è uno snodo particolarmente delicato – chiarisce Michele Polo, docente di economia politica all’Università Bocconi di Milano e relatore alla tavola rotonda organizzata dalla Cgil Lombardia – perché i grandi capitali liquidi che si ripuliscono entrando nei canali ufficiali diventano difficilmente rintracciabili. Negli ultimi tempi questo aspetto va migliorando, le segnalazioni di attività sospette da parte degli istituti di credito sono in crescita, ma sempre più il riciclaggio coinvolge attori ulteriori implicati nella gestione delle attività finanziarie, professionisti e consulenti di vario genere, e le banche non sono più l’unico fronte da presidiare. Si può dire che la catena di montaggio dell’industria del riciclaggio negli ultimi anni si va articolando sempre più”.
Dagli anni Settanta, quando gli introiti del traffico di droga iniziavano a riversarsi nell’economia generale e legale per essere “ripuliti” e investiti in attività “regolari”, la situazione va peggiorando sempre più. Complici la globalizzazione e lo sviluppo degli scambi virtuali (tutto avviene ormai in forma telematica), spariscono gli “spalloni”: le mafie si trasformano in gruppi finanziari, al posto della violenza le imprese criminali preferiscono il dumping su beni e servizi, sbaragliando il mercato attraverso caporalato e usura.
“L'impresa criminale si trasforma in holding, con imprese associate in filiera – spiega Marcello Tocco, coordinatore dell'Osservatorio socio-economico del Cnel sulla criminalità – e, secondo la Dna, queste reti si appoggiano anche al credito ufficiale, usando garanzie per coprire operazioni di mutuo e prestito costituite da titoli che sfuggono a qualsiasi controllo”. In sostanza, i capitali sporchi rimangono immobili, si muovono soltanto le garanzie, tramite triangolazioni fra istituti bancari. È lo stesso Ufficio federale di polizia svizzero a confermare che la 'Ndrangheta avrebbe investito in Svizzera tra i 20 e i 30 miliardi di franchi negli ultimi cinque anni, rilevando imprese ed esercizi sull'orlo del fallimento, o acquisendo immobili e negozi a prezzi vantaggiosi grazie a una pressoché illimitata liquidità.
“Va cambiata la legislazione antiriciclaggio – prosegue Tocco – e va introdotto il reato di auto riciclaggio”. C'è poi il grande capitolo delle ipoteche sui beni confiscati. Spesso infatti le banche concedono mutui a imprese e persone fisiche notoriamente mafiose, ma quando i beni vengono poi confiscati, gli istituti pretendono il rispetto dell'ipoteca immobiliare, e la sua restituzione. “Anche qui, forse bisognerebbe ripensare la normativa e introdurre una legge che cancelli l'ipoteca, privilegiando la confisca – aggiunge Tocco – sarebbe una maniera per “responsabilizzare” gli istituti di credito, rendendoli complici nella lotta all'attività mafiosa”.
Ma quale è il ruolo del sindacato in tutto ciò? “Rispetto al controllo sul sistema finanziario servono sinergie tra i diversi attori implicati e noi, come sindacato, siamo coinvolti a pieno titolo, in quanto qualsiasi sottrazione di legalità si traduce in un danno sulle spalle dei lavoratori – spiega Merida Madeo della segreteria nazionale Fisac (bancari e credito) –. Servono sinergie anche per cambiare una cultura di opacità ormai sedimentata, come ha dimostrato la forte opposizione che ha incontrato la proposta di limitare al minimo l'utilizzo del contante per i pagamenti”. Da tempo la Cgil sostiene una battaglia per affermare come la legalità e i diritti siano fattori essenziali per il rilancio e la crescita.
«Noi stiamo approntando un Piano del Lavoro – conclude Fulvia Colombini, della segreteria della Cgil Lombardia – perché vogliamo ragionare sul modo di uscire da questa crisi ridando dignità al lavoro, vogliamo essere interlocutori di tutti per aprire una vera discussione. Sul tema della legalità quale paradigma per lo sviluppo qualche idea l'abbiamo avanzata. Ad esempio, perché non concordare con il sistema bancario un finanziamento a tassi agevolati dei crediti che le imprese vantano nei confronti della P.A.? Oppure, visto che il nostro tessuto produttivo soffre di nanismo, perché non si studiano meccanismi per favorire l'aggregazione delle aziende e la creazione di reti o cluster? E ancora, va rivisto il sistema della concessione dei visti per i lavoratori migranti, per evitare che le sanatorie si trasformino in occasioni di ricatto e mercato nero sulla pelle dei più indifesi. In sintesi, non più solo 'buone pratiche' occasionali, serve mettere a punto un sistema che ponga a fattore comune diritti e legalità come coefficienti essenziali della crescita e dello sviluppo di questo paese”.