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Sono sempre più maturi i tempi per una piena sindacalizzazione delle forze dell’ordine e delle forze armate. A sostenerlo è il Silp, forte anche di una recentissima istanza (tecnicamente, un “reclamo”) avanzata dalla Cgil al Comitato europeo dei diritti sociali su input dell’associazione Ficiesse, che da anni si batte con coraggio e determinazione per una riforma della rappresentanza militare in senso democratico nella Guardia di Finanza. Ne parliamo con Daniele Tissone, segretario generale dell’organizzazione Cgil dei lavoratori di polizia.
Rassegna Tissone, perché avete deciso proprio ora di tornare a insistere su questa storica rivendicazione della Cgil?
Tissone È vero, si tratta di una battaglia storica della Cgil, quasi quarantennale. Grazie alle lotte con cui si reclamavano trasparenza e diritti sul finire degli anni settanta, abbiamo ottenuto la legge di riforma 121/81. Un passaggio epocale, che ha portato alla smilitarizzazione e alla sindacalizzazione della Polizia di Stato. Un passaggio che, tuttavia, non è stato ancora completato.
Rassegna A cosa ti riferisci?
Tissone All’interno dei comparti sicurezza e difesa abbiamo differenze ormai anacronistiche in materia di rappresentanza e diritti sindacali. Per quel che riguarda la Polizia di Stato, abbiamo un regime di libertà sindacale “separata”, che comporta minori diritti e tutele rispetto al restante pubblico impiego. Ma esistono differenze anche tra gli stessi corpi a ordinamento civile: gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, istituita come la conosciamo oggi con la legge 395/90, godono di una libertà sindacale piena, mentre per gli operatori dell’ormai ex corpo forestale dello Stato, addirittura, era previsto il diritto di sciopero, pur con riserva di garanzia di alcune prestazioni considerate indispensabili. Per quel che riguarda i militari, carabinieri e forze armate, c’è invece un divieto assoluto di sindacalizzazione. Esistono i Cocer, che sono organismi di rappresenta puramente consultivi, con delegati che tutto il personale è costretto a votare o meno, fortemente dipendenti dai rispettivi comandi generali. Insomma, tutt’altra cosa rispetto a un sindacato.
Rassegna Una situazione complessa. Che cosa si intende per libertà sindacale “separata”?
Tissone Una visione distorta delle cose che ha indotto il legislatore a scegliere nel 1981 la strada di un compromesso, figlio anche e soprattutto di pressioni conservatrici. Fu partorito così un ibrido che partiva da un assunto: sindacalizzare, ma in maniera limitata. L’obiettivo era impedire contatti tra il sindacato di polizia e le confederazioni, identificate impropriamente come articolazioni dei partiti politici. L’idea di fondo, totalmente sbagliata, era che questi contatti potessero in qualche modo minare il livello di imparzialità richiesto per chi indossa una divisa. L’articolo 82 della citata legge 121 dice che gli appartenenti alla Polizia di Stato hanno diritto di associarsi in sindacati che non siano diversi da quelli del personale in divisa, mentre l’83 stabilisce che queste organizzazioni debbono essere formate, dirette e rappresentate solo da appartenenti alla stessa Ps, salvo poi prevedere, con una modifica avvenuta nel 2013, la possibilità per soggetti in quiescenza, quindi non più assoggettabili a obblighi di servizio, di esercitare gli stessi diritti.
Rassegna Questo per quanto riguarda la Polizia di Stato, mentre, come hai ricordato tu, la Polizia Penitenziaria gode di una sindacalizzazione piena. Come si spiega questa diversità di trattamento?
Tissone È importante ricordare che stiamo parlando di due categorie di personale caratterizzate da un’analoga struttura gerarchica, entrambe appartenenti alle forze di Polizia, entrambe smilitarizzate e con funzioni da cui si pretende il medesimo livello di imparzialità. Secondo la lettura più accreditata, il diverso regime sindacale introdotto per la Polizia Penitenziaria nel 1990, a circa dieci anni di distanza dalla 121, va ricondotto al mutato contesto politico e culturale, caratterizzato da condizioni tali da consentire il riconoscimento di una piena libertà sindacale per un corpo comunque appartenente alle forze di Polizia.
Rassegna Perché in tutti questi anni non sono stati fatti passi in avanti?
Tissone I motivi sono molteplici. Nell’ultimo decennio, in particolare, sono stati numerosi i tentativi di rimilitarizzazione occulta del nostro comparto, con compressioni evidenti delle poche, ma fondamentali libertà sindacali fin qui ottenute. Basti pensare allo scellerato accorpamento avvenuto dal 1° gennaio scorso, con relativa militarizzazione e cancellazione dei diritti sindacali, del corpo forestale con l’arma dei carabinieri. Quello che oggi si può dire con assoluta certezza, alla luce anche della dottrina più attenta, che ricorda come nella nostra Costituzione esista una netta separazione tra sindacati e partiti politici, è che risulta obsoleta e superata l’obiezione di una “politicizzazione” diretta o indiretta del personale di Polizia, che si è tentato di concretizzare anche con un illegittimo divieto di iscrizione ai partiti. Le vicende degli ultimi anni, invece, ci insegnano come un’esasperata autonomia del sindacalismo espressione dei lavoratori in divisa abbia sostanzialmente contraddetto le ragioni del movimento che hanno portato alla legge di smilitarizzazione della Polizia di Stato, le cui finalità erano e sono quelle di una reale democratizzazione dell’apparato e il recupero dell’efficienza, attraverso una maggiore integrazione con la comunità circostante e un rapporto di miglior fiducia e collaborazione con i cittadini.
Rassegna È ancora in vigore per il personale di Polizia il divieto di iscrizione ai partiti politici?
Tissone No, il divieto è caduto e rende la questione della mancata piena sindacalizzazione ancora più assurda. Il divieto era stato introdotto, per un solo anno, dall’articolo 114 della 121 ed è stato successivamente prorogato, di anno in anno, tramite appositi decreti convertiti in legge, fino ad arrivare al 1990. All’interno della 121 è presente anche l’articolo 81, che disciplina tra l’altro il dovere di mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e il divieto di partecipare in uniforme, anche “liberi” dal servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali. Dopo il 1990 non è stata fatta più alcuna proroga e pertanto deve ritenersi che il divieto di iscrizione ai partiti politici sia caduto a partire proprio dal 1° gennaio 1991.
Rassegna Per tutti questi motivi, la parola d’ordine – oggi più che mai – è pieni diritti sindacali anche per carabinieri, finanzieri e militari…
Tissone È così. I tempi sono davvero maturi per una sindacalizzazione piena che riguardi non solo le forze di Polizia a ordinamento civile, ma anche e soprattutto i corpi militari e le forze armate. L’esperienza tedesca dimostra che lo status di militare non è incompatibile con l’essere sindacalizzati. Da questo punto di vista, anche la battaglia per il riconoscimento del diritto di sciopero ai lavoratori in divisa non può essere sottaciuta. Si tratta di un tema delicato, sul quale il confronto tra le parti sociali potrà arrivare a determinare opportuni livelli di regolamentazione in ragione dei particolari compiti di poliziotti, carabinieri e militari. Del resto, per il corpo forestale si era trovata una “quadra” importante in materia. La nostra particolarità, o specificità che dir si voglia, non può e non deve costituire la ragione per mantenere e preservare un orticello dove i diritti sono limitati e dove soprattutto possono prosperare, con tutti i rischi del caso, apparati e organizzazioni di natura corporativa e “autonoma” che contribuiscono a rendere la Polizia un’entità ancora separata, indebolendo quel necessario livello di compenetrazione con la società civile che il processo di smilitarizzazione aveva inteso favorire.