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Tempo determinato, part-time, interinali, parasubordinati, falsi autonomi, e giù per li rami fino ai mini-jobs alla tedesca. Da vent'anni l'Europa vive una vera e propria ondata di lavoro precario che ha cambiato le prospettive per tutte le generazioni. Ora la stessa Europa deve rimediare, e anche in fretta. È la richiesta o, meglio, l'appello che il patronato Inca Cgil lancia ai candidati di tutti gli schieramenti politici in vista delle elezioni del prossimo 25 maggio.
"Il voto per il Parlamento europeo - afferma in conferenza stampa Morena Piccinini, presidente del patronato della Cgil - ripropone con forza la necessità di affrontare il dramma della precarietà e delle ingiustizie sociali. Forse non è un caso che, tra i tanti diritti equivalenti in Europa, gli unici a non essere comparabili siano quelli che riguardano il lavoro. Ma non si può seguire lo spirito del chiudersi in casa, non dobbiamo far prevalere lo spirito xenofobo portato avanti da qualche forza politica in Europa e anche in Italia".
In realtà esiste già una risoluzione del Parlamento europeo al riguardo, "Una protezione sociale per tutti", adottata a Strasburgo il 14 gennaio scorso. "Un passo importante, ma purtroppo ancora disatteso da parte di molti Stati membri", osserva la dirigente sindacale, secondo cui "la maggior parte dei sistemi nazionali di welfare non è in grado di garantire i diritti sociali e del lavoro a tutte le categorie di lavoratori".
Per saperne di più, l’Inca, in collaborazione della Confederazione europea dei sindacati e con partner sindacali di altri otto paesi, ha lanciato nei mesi scorsi il progetto di ricerca e formazione "Accessor". È venuto fuori un dossier sulle nuove forme di lavoro atipiche le cui conclusioni confermano per l'ennesima volta la drammatica situazione sociale. "Negli ultimi 20 anni - riferisce Piccinini - il lavoro atipico ha registrato una crescita in tutti i paesi Ue, sia per il numero di persone coinvolte, sia per tipologie di contratto".
Il fenomeno, manco a dirlo, riguarda di più le donne, i giovani e gli immigrati. Dallo studio emerge che i contratti atipici comportano livelli inferiori di sicurezza sul lavoro, stipendi inferiori e irregolari, minore formazione, minori opportunità di carriera, minore tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, minori diritti sindacali. Le norme di sicurezza lasciano spesso i lavoratori atipici privi di copertura assicurativa. Altro aspetto del problema, quasi sempre ignorato da studiosi e politici, è l'asimmetria tra il lavoratori standard e atipici, una distanza che diventa ancora più evidente quando questi ultimi decidono (o meglio sono costretti) di esercitare il loro diritto alla libera circolazione per cercare migliori condizioni di vita e di lavoro in un altro Stato membro.
Le nuove categorie di lavoratori, atipici e mobili, sono discriminati non una, ma quattro volte, osserva Piccinini: "Hanno redditi bassi e precari; sono scarsamente coperti dai sistemi di sicurezza sociale quando restano disoccupati; perdono una parte dei loro diritti quando si spostano in un altro Stato Ue; hanno maggiori probabilità di altri di restare prigionieri del contratto atipico anche quando si trasferiscono in un altro paese".
Il rapporto Accessor lancia una serie proposte che si muovono sostanzialmente lungo tre linee: rafforzare la tutela garantita dai regolamenti europei attraverso la definizione di standard minimi comuni; affermare il principio di parità di trattamento tra standard e atipici sotto il profilo della sicurezza sociale; rimuovere le restrizioni dei regolamenti europei che non garantiscono l’accesso alla tutela previdenziale e che scoraggiano, o addirittura impediscono, la libera circolazione delle persone.
"Considerate questo contributo - conclude Piccinini rivolgendosi ai candidati - come un segnale della nostra disponibilità e della nostra collaborazione affinché queste raccomandazioni diventino oggetto di discussione, di confronto e di proposta politica e si traducano, con il vostro impegno, in atti concreti del prossimo Parlamento europeo".