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“Con questa nostra grande manifestazione, vogliamo dire con forza che il problema del Sud non è un problema del solo Mezzogiorno, ma è un problema dell'Italia e dell'Europa intera. Sui giornali e sulle tv si cerca di nascondere questa realtà. Chi ha scioperato oggi, chi è in questa piazza, vuole cambiare questo paese, perché vuole che il lavoro torni al centro”. E' quanto ha detto Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Cgil, dal palco di Napoli, durante la manifestazione organizzata in occasione dello sciopero dei metalmeccanici del centro-sud. Per le vie del capoluogo campano hanno sfilato stamattina oltre ventimila persone, provenienti dalla Campania, dal Lazio, dall'Umbria, dalle Marche, dall'Abruzzo, ma anche da Molise, Puglia, Calabria e Basilicata.
“Siamo di fronte a una crisi mai vista – ha continuato Landini - che sta stravolgendo il profilo economico e sociale del Mezzogiorno. Di questi temi, però, non parla nessuno. Si parla di altro, si descrive un mondo che non c'è, e non si interviene sulle ragioni vere della crisi. Se si vuole rilanciare il lavoro, bisogna far ripartire gli investimenti pubblici e privati. Serve un piano straordinario di investimenti, altrimenti non si creerà lavoro e si tornerà indietro”.
“La domanda che da questa piazza nasce spontanea- secondo il segretario Fiom – è una ed è chiara: cosa centra tutto questo con l'abolizione dell'articolo 18, con la scelta di rendere più precario il lavoro? Ninete. Il problema in Italia non è rendere facili i licenziamenti, il problema è che le imprese non hanno lavoro. Quindi bisogna ripartire dall'idea di come si crea il lavoro. Il governo attuale, così come quelli che lo hanno preceduto, non ha fatto abbastanza. Se dopo 20 anni che ci hanno raccontato che bastava rendere più precario il lavoro e lasciar fare al mercato, siamo di fronte a questa crisi, vuol dire che bisogna cambiare le politiche ed elaborare una nuova idea di paese.”
“Il premier – ha affermato Landini - dice che diversamente da chi sciopera lui crea lavoro. Io credo che Renzi sia una persona che non è in grado di affrontare i problemi che abbiamo, e quindi prova a distrarre l'attenzione da questi problemi. Renzi non sta creando lavoro, ma sta trasformando il concetto stesso del lavoro. Siamo di fronte ad un tentativo pericolosissimo di far passare l'idea che pur di lavorare si deve accettare qualsiasi condizione. Come non abbiamo accettato questo ricatto a Pomigliano, non lo accetteremo mai. Il lavoro o ha diritti o non è lavoro. Per questo i diritti vanno estesi a tutti e non sottratti ad alcuni”.
“Noi – ha concluso il leader Fiom - non vogliamo dividere il paese, che ha già troppe disuguaglianze. Perché la ragione della crisi sta proprio in queste disuguaglianze. Per questo, al contrario, vogliamo unire tutto ciò che viene diviso. E lo facciamo utilizzando l'insegnamento di Di Vittorio, che ci ha insegnato quanto il compito primario di un sindacato sia quello di impedire la competizione tra le persone che lavorano. Il governo può fare tutti i decreti e mettere tutte le fiducie che vuole, ma noi questa volta facciamo sul serio. Non ci fermeremo fino a quando non saranno cambiati i provvedimenti. Andremo avanti fino in fondo. Nel paese nelle fabbriche. In questo senso è molto importante che lo sciopero generale del 12 dicembre sia uno sciopero condiviso. E' il momento della responsabilità. Noi lottiamo per la democrazia, noi vogliamo cambiarlo, questo paese”.
Martini: "Diamo voce al malessere del paese"
“Questa piazza manda un messaggio chiaro a chi vuole attaccare i lavoratori, un messaggio forte e chiaro. Dice che le piazze non sono la nostra ultima spiaggia. Non si pensi che il voto di fiducia chiuderà la pratica. Il sindacato non si fermerà, anzi". Aveva detto in precedenza Franco Martini, segretario nazionale Cgil, dallo stesso palco di Napoli. La risposta che diamo è, dopo le tante mobilitazioni di questi mesi, la proclamazione e la realizzazione dello lo sciopero generale del 12 dicembre. E' bene che il governo e Confindustria se ne facciano una ragione: la nostra non è la liturgia, qui stiamo dando voce alla profonda difficoltà in cui vive il paese e i lavoratori”.
“Se tutte queste persone sono in piazza – ha concluso Martini - è perché delle tante cose promesse dal governo ne sono state fatte poche. E quelle poche sono contro il lavoro. Ciò che vogliamo dire al governo è che il lavoro non si crea con le leggi, ma si crea dicendo che idea di paese si ha nella mente, sesi vuole un'industria moderna, qualificata e un terziario avanzato in grado di sostenerla, se si vuole valorizzare il nostro grande patrimonio culturale, e uno stato sociale vicino alle persone. Ma per fare questo occorrono investimenti, non messaggini. Dove sono gli investimenti pubblici nella finanziaria? Non ce n'è traccia. Quella legge disegna un paese immobile, nel quale non si investe sul lavoro e si fanno sconti alle imprese. Quello che diciamo a gran voce, invece, è che se non ripartono gli investimenti il paese resta fermo. Non siamo ai titoli di coda della nostra mobilitazione, la nostra è una battaglia che unisce e che continua.”