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La Liguria è una regione dal territorio fragile, spesso alle prese con drammi e tragedie. Un territorio che faceva parte del triangolo industriale del nostro Paese, che ha contribuito alla rinascita post-bellica ed è una regione dai grandi commerci internazionali che arrivano dal mare. I dati di oggi su occupazione e disoccupazione, però, non sono buoni: pochi contratti di qualità, crollo dei contratti precari, aumento della disoccupazione. “Complessivamente, le cifre della nostra regione potrebbero far pensare a una sorta di inversione di tendenza, dopo due anni in cui abbiamo perso costantemente occupazione. In realtà, assistiamo a una brusca frenata dell'occupazione. Il problema è la qualità del lavoro che si crea. Si tratta infatti di occupazione prevalentemente precaria e fatta di part-time involontari, mentre il numero dei contratti a tempo indeterminato continua a calare”. A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1 è Federico Vesigna, segretario generale della Cgil Liguria.
Il problema principale che il dirigente sindacale sottolinea, infatti, è quello del lavoro povero: “Mentre cresce l'occupazione, cresce anche la disoccupazione, perché evidentemente il lavoro che c'è non basta a garantire un reddito sufficiente alle famiglie. Nei singoli settori si registra una grande difficoltà nel commercio e nel turismo, e si conferma il fatto che l’aumento di presenze turistiche troppo spesso non si traduce in un incremento dell'occupazione. Questo vuol dire che la Liguria è oggetto di un turismo mordi e fuggi, perché non si fa programmazione, e non ci sono processi di diversificazione dell'offerta che consentano di investire sulla destagionalizzazione”. Ancora una volta, insomma, “si investe poco sulla qualità dell'occupazione”. Per cui “uno degli asset potenziali della nostra regione non si traduce in un’opportunità occupazionale”.
Per il territorio ligure c’è poi da registrare la grande crisi del settore delle costruzioni, “che si protrae ormai da tantissimo tempo”. Mentre in altri comparti l’occupazione cresce, “nel 2018 in edilizia si sono persi altri 4.000 posti di lavoro. Nell'ultimo quadrimestre, quello dove l'occupazione si è sostanzialmente fermata per effetto del crollo del ponte Morandi, il settore delle costruzioni ha perso 9.000 posti di lavoro”. È l’edilizia “il grande malato della nostra regione”. Il crollo del ponte Morandi, d’altronde, “ha evidenziato le fragilità del sistema infrastrutturale, che anche prima della tragedia era tagliato fuori dall'altra velocità, ed era a rischio di isolamento. È chiaro che ora questo rischio stia diventando una certezza”.
Parlare di infrastrutture, però, vuol dire parlare anche di appalti. E, secondo Vesigna, anche da questo punto di vista la Liguria può essere considerata “una sorta di laboratorio”, perché la ricostruzione del ponte Morandi “avviene attraverso le logiche commissariali, quindi con uno sveltimento delle procedure che ovviamente ognuno di noi si auspica”. Ma d’altro canto “tutto questo non può andare a detrimento della sicurezza e dei diritti dei lavoratori”. Nella regione, in effetti, “gli incidenti sul lavoro sono all’ordine del giorno”. Per questo il lavoro che è stato fatto in regione può “fornire un contributo nelle discussioni in corso sulla regolamentazione degli appalti”. Come l'accordo sottoscritto dalle categorie nazionali del settore delle costruzioni con il commissario alla ricostruzione del Ponte Morandi, “sulle modalità con cui occorre agire, cioè sveltire le procedure, sbloccare i cantieri, ma nel pieno rispetto dei diritti e delle regole”. In quell'accordo si prevede, infatti, “l’applicazione del contratto degli edili nelle lavorazioni, il rispetto delle norme sui sistemi di controllo nell'accesso alle attività di cantiere e soprattutto una serie di misure a tutela della stabilità occupazionale, che ruotano intorno al principio della responsabilità in solido e della clausola sociale”.
“Quindi sveltire le procedure e sbloccare i cantieri – conclude Vesigna – si può e si deve. Non però liberalizzando il subappalto, o togliendo l'obbligo del contratto nazionale di riferimento. Non serve insomma smantellare il sistema delle tutele del lavoro, cosa che ovviamente non ci potrà mai trovare d'accordo”.