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PISTOIA - Siamo in un luogo simbolo del lavoro del Novecento: la cattedrale ex Breda di Pistoia, sede del congresso della Cgil Toscana. Un complesso storico, che all'inizio del secolo fu lo stabilimento delle Officine San Giorgio, fabbrica per la costruzione di autovetture e carrozze ferroviarie. Poi è passato all'AnsaldoBreda, appunto, dove si producevano veicoli ferroviari e pullman fino al 1974. Eppure, in questo spazio industriale del secolo scorso, oggi si ascolta la voce dei nuovi lavoratori delle piattaforme: i cosiddetti rider, ovvero i ciclofattorini che girano in bicicletta per le città a consegnare cibo e non solo, pagati da principali come Foodora, Deliveroo, JustEat e l'ultima arrivata Glovo, il gruppo spagnolo che ha rilevato proprio Foodora, i cui contratti scadono il 30 novembre.
La situazione è complessa. Tra flessibilità e incognite per il futuro, lo scenario del lavoro all'interno delle piattaforme è ancora tutto da decifrare. I pericoli però sono evidenti. A raccontarlo è Ruben Zappoli, un ragazzo di 19 anni che fa l'università a Firenze (Sviluppo economico e cooperazione aziendale) e insieme recapita le consegne in città e nei dintorni. “Mio padre era disoccupato e volevo fare un viaggio per la maturità, così mi sono avvicinato al mondo dei rider – esordisce -, studio e faccio vari lavori, tra cui il ciclofattorino per circa dieci ore alla settimana. Per me è un modo di guadagnare qualcosa, ma non si può certo considerare un lavoro vero: puoi smentire il turno anche all'ultimo momento, va bene per uno come me, uno studente che accetta l'orario flessibile, ma non è pensabile per un adulto. Domenica scorsa ho visto un uomo di 50 anni con lo zaino di Glovo che faceva una consegna in bicicletta, alle 9 del mattino, ho provato una grande tristezza. Non può essere il lavoro che uno fa nella vita”.
Non può esserlo soprattutto per l'assenza totale di tutele. I diritti? Semplicemente, non sono contemplati. Niente ferie, malattia, maternità. Difficile stabilire quanto resta in tasca: “Ogni piattaforma ha le sue regole – mi spiega Ruben -, in alcune c'è un sistema misto tra cottimo e consegna: in Foodora c'era un minimo orario, intorno ai 5 euro, che poi si alza quando il fattorino fa molte consegne. In Deliveroo sono cambiati vari contratti: prima cottimo, poi paga oraria, poi ancora una formula che considerava anche la distanza”. A queste difficoltà va aggiunto il sistema di ranking, usato da alcuni, che può favorire o penalizzare il singolo fattorino: ci sono fasce orarie di consegna, di solito tre (mattina, metà giornata e pomeriggio), chi è inserito in ultima fascia trova tutte le consegne già assegnate e quel giorno fatica a lavorare. In questo panorama si installa l'arrivo di Glovo, la spagnola che ha comprato Foodora, a sua volta “impaurita” dall'ipotesi di definire un contratto nazionale: “Ci aveva detto che avrebbe lasciato l'Italia, pensavamo fossero parole, poi è arrivata la cessione”. Ruben mi mostra un'e-mail che Foodora ha inviato ai suoi rider dopo l'annuncio: assicura che tutti passeranno a Glovo senza perdere il lavoro. Il problema è a quale prezzo.
“Il contratto che ci propone Glovo? Imbarazzante”. Lo dice Yftalem Parigi, anche lui diciannovenne, studente di Economia e rider a Firenze. Il ragazzo conosce il contratto perché ha fatto un colloquio con gli spagnoli, al momento di firmare gli hanno consegnato il documento (che fino a quel momento non era reperibile): “Dentro non c'è alcun obbligo per il committente, diritto di risoluzione in qualsiasi momento, ovvero possono dirti che il contratto si conclude oggi. Il pagamento non viene specificato, si dice che è variabile a certe condizioni, ma senza mai indicare la cifra. Inoltre l'azienda scarica ogni responsabilità sul lavoratore in caso di infortunio: per capirci, se nel traffico cittadino cadiamo dalla bici è sempre colpa nostra”. Adesso cosa succederà? “In una normale trattativa Glovo dovrebbe farci un contratto migliorativo, confermare almeno le stesse condizioni di Foodora e alzare un po' il salario. Speriamo che questa trattativa si faccia”.
Yftalem è ancora più critico sulla condizione dei ciclofattorini. “È vero che la flessibilità può essere positiva per un universitario, certo – riflette –, ma chiediamoci: a che costo? A costo di rinunciare a ogni diritto, e se questa situazione oggi viene accettata, domani diventerà strutturale, il rider assumerà queste caratteristiche e diventerà molto difficile toccarle”. Ecco il vero rischio, che Yftalem ha sottolineato anche nel suo intervento dal palco: “È terribile ritrovarsi a fare questo lavoro dopo anni di studio, si può essere licenziati ingiustamente senza più la reintegra dell'articolo 18. Se uno si ritrova in questa situazione non è colpa sua, ma dello Stato che doveva proteggerlo e non l'ha fatto. È troppo chiedere di essere trattati come gli altri? Vogliamo solo ciò per cui il sindacato ha combattuto nel secolo scorso: il contratto nazionale. Non vogliamo più essere visti come lavoratori di serie B. Noi rider veniamo notati di più perché siamo esposti ai rischi e visibili, andiamo in bicicletta nelle vostre città, ma sono tanti quelli come noi. Oggi i rapporti di collaborazione vengono usati per qualsiasi cosa: va risolta la nostra situazione e anche l'intero problema”.
Foto: la cattedrale Breda ieri e oggi