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L’esperienza sindacale nella provincia autonoma di Trento si è caratterizzata negli ultimi decenni per l’elevato grado di coinvolgimento delle parti sociali nella definizione di politiche pubbliche nei campi del lavoro e dello sviluppo, più o meno sul modello della Sozialpartnerschaft austriaca, un sistema di cooperazione – strutturato su base volontaria e poggiato sulla presenza di istituzioni pubbliche, le Camere (Kammern), con adesione obbligatoria dei lavoratori (Arbeiterkammer) e dei datori di lavoro (Wirtschaftkammer) – tra il governo e i principali gruppi di interesse sulle politiche economiche e sociali, istituito nel secondo dopoguerra e tuttora operante.
Il primo banco di prova della Sozialpartnerschaft trentina è invece la legge provinciale n. 19 del 1983, la “Legge provinciale sul lavoro”. Il provvedimento viene varato in un contesto storico singolare. Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, il Trentino vive una drammatica crisi industriale, che spinge istituzioni e parti sociali dell’epoca a muoversi su un terreno fino a quel momento inedito per contenerne quanto più possibile gli effetti negativi sul piano occupazionale e sociale. Con la “Legge provinciale sul lavoro” si stabilisce nei fatti un metodo concertativo che responsabilizza tutti gli attori del territorio, dagli assessori competenti ai sindacati, dalle associazioni datoriali alle realtà del sociale, nell’individuazione e definizione di strumenti di politica attiva del lavoro per sostenere le persone licenziate, in parallelo con l’esperienza del “Progettone”, finalizzata a favorire la rioccupazione dei disoccupati “anziani” in cooperative impegnate nella cura dell’ambiente e del verde pubblico.
Negli oltre trent’anni che ci separano da quella prima esperienza di Sozialpartnerschaft, la concertazione trentina si è evoluta. Si è sviluppata nel processo di formazione delle decisioni pubbliche, come sperimentato con i patti territoriali, attraverso il coinvolgimento dei sindacati nella sottoscrizione di accordi organizzativi e occupazionali, del tipo di quelli che prevedono per le imprese contributi pubblici per la ricerca, con i protocolli tra istituzioni e parti sociali su sviluppo e coesione sociale, come quello sulla produttività del dicembre 2012 (sottoscritto unitariamente), con il Patto per lo sviluppo economico e il lavoro dell’aprile 2014, firmato in netta controtendenza rispetto all’abbandono delle intese concertative a livello nazionale.
Ma la via trentina alla concertazione è maturata anche grazie ad altri due importanti passaggi, la definizione del progetto di previdenza complementare su base regionale e la sottoscrizione dell’accordo di Milano del novembre 2009, che ridefinisce per Trento risorse e competenze dell’autonomia speciale, in particolare sul piano della formazione e degli ammortizzatori sociali. Da qui in avanti, la Sozialpartnerschaft trentina trova uno spazio ulteriore nella creazione di un welfare integrativo su base locale.
Per la previdenza complementare regionale l’anno “zero” è il 1998, quando le parti sociali creano il fondo negoziale Laborfonds, che con 115 mila iscritti e oltre 2 miliardi di euro di patrimonio è attualmente il quarto fondo pensione chiuso in Italia. Sul piano degli ammortizzatori sociali, l’attuazione della delega alla Provincia del 2009 si fonda su alcuni perni che hanno riformato la legge 19 del 1983: il reddito di attivazione, operativo a partire dall’autunno del 2014, che allunga in termini di tempo le prestazioni nazionali per i disoccupati, a fronte di un’attuazione rigorosa del principio di condizionalità; il reddito di qualificazione per i giovani lavoratori che intendono completare il percorso di studi; il reddito di continuità, che una volta operativo concorrerà al sostegno dei lavoratori sospesi mediante “l’integrazione del reddito per il mantenimento dell’occupazione e il miglioramento della professionalità”. Completa il sistema di protezione sociale il reddito di garanzia, un’erogazione monetaria a favore dei nuclei familiari in difficoltà economica.
Insomma, in Trentino la concertazione ha basi solide. Il rapido evolversi degli scenari economici e sociali, la contrazione delle risorse a disposizione dell’autonomia locale, le difficoltà nella crescita economica richiedono un’ulteriore evoluzione, per non vanificare nel tempo la positività di questa esperienza. Sempre più nei prossimi anni la Sozialpartnerschaft trentina dovrà occuparsi dello sviluppo economico e produttivo del territorio, senza peraltro trascurare le dinamiche di coesione sociale. Le misure che stanno prendendo avvio si muovono su tre linee direttrici: sul fronte del welfare contrattuale integrativo, con l’avvio del fondo sanitario integrativo territoriale Sanifonds e con la gestione di un “fondo di solidarietà territoriale” a compimento della delega in materia di ammortizzatori sociali; sul fronte della contrattazione collettiva, con l’investimento da parte della Provincia a favore delle parti sociali, sia nella formazione degli operatori sindacali con la scuola di formazione unitaria LaReS, sia con la promozione della contrattazione decentrata, da sviluppare e consolidare in chiave partecipativa.
Non solo. I cambiamenti del mercato del lavoro impongono un profondo cambio di prospettiva anche alle parti sociali. Il sindacato deve innovare la propria capacità di rappresentanza, spostando il fuoco dell’attenzione dalla difesa del posto di lavoro alla rappresentanza delle diverse forme di transizione sul mercato del lavoro, per tutelare il lavoratore in tutte le fasi del suo percorso occupazionale, dall’istruzione all’occupazione, alla perdita del lavoro, alla riqualificazione e ricerca di nuova occupazione. Un tema che è stato posto al centro XVIII Congresso della Cgil del Trentino del 2014 e della recente Conferenza di organizzazione della confederazione, nel giugno di quest’anno.
*Segretario generale della Cgil del Trentino
*Dottore di ricerca in Studi giuridici comparati ed europei all’Università di Trento