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È un martedì mattina, stranamente sono a casa, non ho impegni, nel pomeriggio andrò a Modena per il coordinamento dell’UDI. Mi dedico a fare qualcosa in casa, con calma, mi prendo il mio tempo. Piego il bucato e metto tutto sul mio letto, diviso per destinazione: armadio, cassettiera, bagno…. Sono le 9, più o meno, uno dei miei gatti dorme sul letto, al mio posto, penso che gli piaccia sentire il mio odore, forse il calore residuo del mio corpo.
È il mio gatto, il primo. Spalanca gli occhi e mi guarda interrogativo e accusatorio (i gatti sono molto permalosi e ti attribuiscono sempre la causa di qualsiasi disagio), è un istante, non faccio in tempo a stupirmi che il mondo va a rotoli. Sono su una giostra. No, sono su una tavola da surf. No, sono sveglia e questo è il terremoto. Tutto si anima, ante di armadi, cassetti, si aprono e si chiudono, tutto sbatte, io sono lucida e concentrata. L’arco della porta, devo raggiungerlo e mettermi in sicurezza. Ma se non mi posso muovere….le scosse sono tante e tali che mi ancorano per terra, le gambe non si muovono, la porta è lì ad un passo, ma quel passo non si può fare.
E il gatto dov’è? È schizzato via, si sarà messo in salvo? Riesco a fare un passo, raggiungo l’arco della porta e mi metto lì, la mia casa è viva, si muove, forse strapperà le fondamenta e andrà in giro per il mondo, solo adesso mi accorgo del rumore: è un urlo, un boato, no, questa è una belva ferita che ruggisce, un suono mai udito prima, e penso questa è la terra, sta parlando, sta soffrendo, non l’abbiamo rispettata, l’abbiamo ferita, violentata, offesa. Lo riconosco questo urlo: è una partoriente, mi ricordo che le spinte del parto non vanno contrastate ma seguite, allora mi metto a recitare la mia preghiera buddista e cerco di andare in sincronia con l’urlo, così soffrirà di meno, così sentirà che io la capisco, che le sono vicina.
Non voglio stare ferma sotto questa porta, mi muovo, vado in corridoio, il cane non è scappato, aspetta che dica io cosa fare. Con la coda dell’occhio vedo il lampadario in cucina, oscilla così tanto che colpisce il soffitto da un lato, poi dall’altro, e ancora, davanti a me ci sono le scale, me lo ricordo che non bisogna assolutamente percorrerle, ma il gatto, anche lui sembra avermi aspettato, le imbocca di corsa, radente al suolo. Mi fido di lui, di quell’istinto che io non ho più, e poi con la terra ho appena fatto un patto tra donne, sarò la sua ostetrica, non mi farà del male. Scendo di corsa, la porta di casa è aperta, sono fuori, al sicuro.
L’urlo si attenua, quasi mi dispiace, mi sembrava di aver trovato, per un attimo, qualcosa che è stato già con me, un tempo. Ci sono altre urla, adesso, una vicina svenuta in mezzo alla strada, un’altra che grida nell’ultima casa in fondo. Vado verso di loro, le aiuto, le incoraggio, sono donne, io sono dell’UDI. Ce l’ho così chiaro in questo momento, che sono dell’UDI! Sono una donna dell’UDI, sono buddista, sono una psicologa, queste cose le so, me le ricordo, quindi forse non è cambiato nulla. Non ancora.
La signora che urla è anziana, quando berlusconi se n’è andato avevo messo una bandiera al balcone, ne avevo una del pd non so nemmeno perché, lei (non la conoscevo ancora perché abito a Medolla solo da settembre scorso - mi aveva fermato, mi aveva stretto le mani dicendomi sottovoce “la pensiamo uguale!” “non proprio, sa? Io sono proprio di sinistra…” avevo risposto, e poi avevo detto “ma non mi occupo molto di politica, preferisco impegnarmi nelle associazioni femminili come l’UDI”; aveva sorriso ancora di più, mi aveva detto che una volta c’era anche qui l’UDI, che lei ci andava, ed diventato una specie di segreto tra di noi. Ora sono io a stringerle le mani, a farle coraggio, a sorriderle, e diventa il mio impegno, passo ore ad incoraggiare, a sostenere, a rassicurare……mia figlia, disperata, vive a Roma, vedo che mi cerca sul cellulare che non prende, come faccio a tranquillizzarla? Gli sms vanno, quella frase “tutto bene, fa paura ma io sono al sicuro” quante quante quante volte la scriverò, quante persone mi cercheranno.
Arriva mio marito, lui era in macchina e ha visto tutti sbandare e fermarsi. Inizia una lunga attesa. Di che cosa? Non lo sappiamo. Davanti a noi le nostre case, le nostre tane, il porto sicuro che ti accoglie, sono diventate infide e misteriose. Le scosse continuano, ogni volta scattano allarmi, si sentono sirene, elicotteri in volo. Torna un vicino, stava facendo un giro in bici, davanti ai suoi occhi – è pallido come un morto, mi accorgo, ma che cosa ne so del biancore di un morto? Sì, io lo so, ho visto la mia mamma nella bara, e comunque sono i suoi occhi attoniti e spenti che mi farebbero riconoscere quel pallore anche se fosse la prima volta – a soli 500 metri da qui, è crollato un capannone. Con un filo di voce continua a ripetere “c’era gente che ci lavorava dentro, ho sentito le urla”.
Tutti davanti alle case a guardarle, come se fossero loro la causa di tutto questo. Quando ci sono le scosse le vediamo ondeggiare. Le automobili saltano sulle sospensioni. Decidiamo di andare in piazza, qui non è città, gli uomini e le donne della politica non sono altezzosi e lontani, qui sono gente comune, ci saranno e potremo chiedere. Che cosa? Non sappiamo, ma c’è bisogno di affidarsi. Andiamo e sono tutti e tutte là, il giovane sindaco è pallido ma è presente e fermo. La protezione civile si muove con sicurezza. I vigili del fuoco ci sono, quindi siamo a posto. Ma è lì che crollo.
Un signore anziano viene fuori dalle macerie, da qualche parte del centro storico. È coperto di polvere. Piange. In braccio ha il suo gatto. Braccia amorevoli. Il gatto è abbandonato. Lo sguardo del gatto e dell’uomo sono uguali. Non capiscono. Una ragazza della protezione civile si accorge dello sguardo, gli corre incontro, solerte, gli chiede che cosa è successo, venga, dia a me, chiamiamo il veterinario.
Io piango, non sopporto quel dolore, e piango ogni volta che ripenso a quella scena, anche adesso mentre scrivo ma sono grata di avere questa occasione, forse me ne libererò. I ricordi, dopo, sono ricordi di corsa. Il sindaco emette un’ordinanza che ci obbliga a non entrare nelle case, nemmeno se sono in buone condizioni, anzi, di non sostare nemmeno nelle vicinanze.
E dove andiamo? Che cosa facciamo? Mio marito reagisce irrazionalmente, da contadino emiliano, dico io, anche se la terra non l’ha mai coltivata, dice che se la casa deve venire giù lui ci vuole star dentro, alla sua casa. Intanto i nostri due gatti, terrorizzati, sono spariti, e la cagnolina ad ogni scossa entra dentro casa, come se le piacesse. Sono loro che ci fanno decidere: abbiamo da anni una roulotte in un campeggio vicino Bologna, prendiamo gatti e cane e andiamo lì. Di corsa preparo un po’ di cose a casaccio. Vestiti, mutande, il cibo per gli animali, il computer, l’hard disk che contiene tutto il mio archivio. Nella testa mi risuona quella domanda stupida che ci si fa ogni tanto “se potessi salvare solo 3 cosa dalla tua casa, che cosa prenderesti?”.
Ho sempre cercato di dare risposte molto colte, mi accorgo, qualcosa del tipo “ma, prima di tutto la Recherche, direi…” invece nella realtà le mutande prima di tutto, poi, quando ho già caricato la macchina, torno dentro al volo, sfido le scale e il primo piano per prendere una boccetta di profumo, Chanel n°5. perché l’ho presa? La stringo forte, è una zattera. Non uso di norma il profumo, ma ora, in questo frangente, è un bene di primaria necessità. Oggi penso che l’incontro con la Terra urlante e partoriente mi abbia lasciato, insieme alla magnificenza, una sensazione di contaminazione.
Il terremoto, Terry negli spazi per bambini delle tendopoli, mi ha sbattuto addosso il senso delle offese che stiamo facendo al nostro territorio, dell’urgenza di cambiare rotta, di smetterla con cementificazioni e sfruttamento del territorio, di piantarla con questa storia dello sviluppo e della crescita, di essere finalmente noi donne a determinare scelte politiche ed economiche, perché noi quell’urlo lo possiamo sentire e capire, noi possiamo aiutare la terra, respirare con lei, spingere con lei, scrivere la sua storia. Il terremoto mi ha fatto capire che per prima cosa dobbiamo calmare il terremoto interiore che ciascuna e ciascuno di noi cova in segreto. Questa è l’occasione per cambiare.