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Il tema, un piano straordinario del lavoro, l’ha lanciato la Cgil all’ultimo Congresso confederale, tornando alle radici, ovvero alla parola d’ordine e alla concretissima battaglia della Cgil di Di Vittorio nei primi anni 50. È un tema difficile: non solo per lo sforzo progettuale che richiede – e la difficoltà, in epoca di politica televisiva, a tradurlo in parole semplici e chiare –, ma anche perché in apparenza – bel paradosso, di fronte a una crisi che sta passando sull’occupazione come un rullo compressore – del tutto inattuale. Il vecchio “Meno tasse per tutti” – diventato oggi “Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani” – continua a essere per il paese lo slogan più accattivante. Cercare un approccio differente, provare a guardare le cose da un diverso angolo prospettico, è tuttavia un’impresa che vale la pena rischiare. Un’impresa in cui la Cgil, per fortuna, non è sola. Riflessioni vicine a quella che la Confederazione ha avviato non costituiscono un’eccezione, e il lavoro e l’occupazione come punto cardine di una politica che voglia portare l’Italia fuori dalla crisi torna a essere, per molti, il problema vero con cui confrontarsi.
Gianfranco Viesti, economista, docente a Bari, proprio a questi temi ha dedicato un suo recente libro, Più lavoro, più talenti (sottotitolo: Giovani, donne, Sud. Le risposte alla crisi), pubblicato da Donzelli. Lo abbiamo intervistato per chiedergli appunto cosa significhi il suo invito a ripartire dal lavoro, come si lega, questo rovesciamento di prospettiva, ai destini del paese.
Il Mese Entriamo subito in tema. Professore, lei indica un obiettivo che nell’Italia di oggi sembra una bestemmia: la piena occupazione. Perché? Viesti Perché è la sola risposta realistica alla crisi, l’unica strada percorribile per tornare a crescere. Dire più lavoro, più occupazione non significa porre solo un problema di carattere etico. Il Mese Le risposte vanno in un’altra direzione. La manovra di Tremonti è fatta tutta e solo di tagli. Il centrosinistra, dal canto suo, non riesce a disegnare un programma alternativo.
Viesti Il problema non nasce con la crisi. Alle difficoltà del paese, che la crisi ha aggravato, si risponde da tempo in maniera errata. L’agenda era ed è confusa. Oggi ci sono i tagli, certo. Ma per il governo e la maggioranza l’agenda resta la riforma delle istituzioni – che coincide poi con gli interessi del capo – e la questione fiscale. Per il centrosinistra, non si sa. Io penso al contrario che la questione fondamentale sia far crescere il tasso di occupazione, il lavoro: per le prospettive che questo aprirebbe e, intanto, per fronteggiare i rischi a cui stiamo andando incontro.
Il Mese A quali rischi pensa?
Viesti La falcidie dei posti di lavoro è sotto gli occhi di tutti noi. E c’è il pericolo che prosegua ancora per un bel po’. Ma si tratta di un processo selettivo, non è che il lavoro viene a mancare per tutti. È un processo che colpisce soprattutto alcuni settori della società e aree determinate del paese. Andando per ordine, e vengo al dunque, sono tre le questioni che la caduta dell’occupazione apre; o, per meglio dire, rende più acute. Una questione di genere, innanzitutto, perché la crisi colpisce prima di ogni altro le donne. Una questione generazionale, perché priva di prospettive tutta una classe di età, quella sino ai 30-35 anni, sempre più ai margini quando non fuori dal mercato del lavoro. Infine una questione territoriale, con il Mezzogiorno, l’intero Mezzogiorno, che subisce in maniera assai più pesante del resto del paese la recessione in corso. Sono tre questioni drammatiche: è tutto un pezzo della società italiana che rischia, nel dopo crisi, di ritrovarsi ai margini. Il fatto che questi tre temi non siano al centro della politica nazionale, delle sue preoccupazioni, è il segno dell’arretramento culturale che l’Italia sta vivendo.
Il Mese È la prima volta nella storia dello Stato unitario che il Mezzogiorno non è più un problema della politica nazionale. Se ne parla con fastidio, ormai.
Viesti Già. C’è un arretramento culturale, ripeto, c’è molto egoismo. E problemi decisivi come il lavoro delle donne e dei giovani, il divario meridionale, vengono tranquillamente rimossi.
Il Mese Molto egoismo, lei dice. Però, in una tempesta quale quella che stiamo attraversando, è difficile convincere chi più ha – anche quando ha poco – a occuparsi di chi ha di meno. Non ci sono buone politiche senza un fondamento etico. Ma l’etica, il vincolo della solidarietà, il tema della coesione sociale, deve comunque misurarsi con il gioco degli interessi…
Viesti Io non faccio un discorso moralistico, non è solo una questione di etica. Lo accennavo già prima. È una scelta economica diversa e più efficace. Perché più lavoro? Perché mettere al lavoro le donne, mettere al lavoro i giovani, mettere al lavoro i meridionali, significa far crescere il numero delle persone che acquisiscono reddito e pagano le tasse; più lavoro da un lato, un maggiore gettito fiscale dall’altro; che poi è il solo modo per realizzare un federalismo davvero equilibrato.
Il Mese Quali gli strumenti?
Viesti Ce ne sono diversi. Sicuramente la leva fiscale. La sproporzione tra costo del lavoro e salario netto, nel nostro paese, è eccessiva: il cuneo fiscale supera il 45 per cento. La questione principe, dunque, è quella di spostare altrove una parte del carico fiscale che oggi grava sul lavoro. Far crescere la tassazione sulle rendite, sulle rendite finanziarie in particolare, può essere fra le altre una buona misura. Secondo, nuove regole per il mercato del lavoro. La flessibilità, che poi significa precarietà, grava oggi tutta sulle spalle dei giovani. Abbiamo realizzato riforme che fanno pagare la flessibilità, per intero, alle giovani generazioni. Non si può: bisogna condividere, occorrono perciò regole nuove. Non per indebolire diritti e tutele, certo. Ma, ripeto, occorre condivisione. Il sindacato su questo deve riflettere. Ancora, c’è un terzo punto che credo sia un po’ fuori moda: i servizi pubblici, i servizi per la collettività. Tremonti sbaglia. Tagliare significa non solo colpire i più deboli, significa negarsi anche una possibilità di sviluppo. Ridurre i servizi è prima di tutto sottrarre lavoro alle donne. Aggravare cioè una delle tre grandi questioni di cui parlavo prima. Dimenticando che mettere al lavoro una donna vuol dire metterne al lavoro due. Lo ricordava nel suo bel libro del 2008 Maurizio Ferrera (Il fattore D. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia, ndr): una maggiore occupazione femminile produce domanda di servizi, quindi occupazione ulteriore. E se il tasso di occupazione femminile pareggiasse quello maschile, il Pil crescerebbe del 20 per cento. Non mi sembra poco. A risorse date, naturalmente, non è un’impresa semplice. Ma, a proposito di risorse, e di welfare, non è che non ci sia niente da fare. Un intervento ulteriore sull’età di pensionamento, ad esempio, potrebbe aiutarci. Sempre su questo versante, sul lavoro che potrebbe crearsi nei servizi, c’è poi tutto il tema dell’autoimpiego e della nascita d’impresa. A noi manca un’intera fascia di lavoro nei servizi alla persona. Un settore in cui c’è domanda ma non c’è offerta.
Il Mese E sul fronte più tradizionale del manifatturiero?
Viesti Bisognerebbe cercare di potenziare il più possibile il settore delle esportazioni. E potenziarlo significa fornirgli un contenuto più alto di servizi. Si deve far crescere di più il terziario legato all’export. Infine, liberalizzazioni e promozione del merito. Si è molto parlato di liberalizzazioni, nel nostro paese, tuttavia il Popolo della libertà non mi pare se ne sia molto preoccupato, anzi. Sono uno strumento, solo uno strumento, che non va mitizzato. Ma le liberalizzazioni sono necessarie, se vogliamo aiutare davvero la mobilità sociale e premiare il merito. Senza indulgere nei luoghi comuni. Il problema non è solo un sistema più meritocratico, come continuamente si dice, ma le basi di partenza: l’accesso, innanzitutto, a una istruzione di qualità. Poi, naturalmente, possiamo ragionare su molte altre questioni: le infrastrutture, l’energia…
Il Mese La crisi ha portato in primo piano il tema della green economy…
Viesti Non dobbiamo mitizzarla. Né guardare solo alle fonti rinnovabili. Si pensi ad esempio all’utilità che avrebbe, per il bilancio energetico, una colossale opera di manutenzione degli edifici. L’elenco potrebbe continuare. Ciò che però bisogna avere chiaro è l’obiettivo. E l’obiettivo si chiama piena occupazione: più lavoro per tutti, ripeto, non meno tasse per tutti. Si tratta di un ordine diverso di priorità.
Il Mese Un problema politico…
Viesti Sì, non è un problema economico, è un problema politico. Che riguarda l’agenda, dicevo all’inizio.
Il Mese In quest’agenda il Sud deve avere un posto centrale...
Viesti Ricordando preliminarmente che il Sud è Italia. Se il Sud va avanti anche l’Italia migliora e viceversa. Voglio dire che nel meridione ritroviamo, in maniera più acuta, tutte le debolezze nazionali. Per questo motivo non possiamo pensare che la situazione migliori solo con interventi straordinari. È innanzitutto l’ordinario – le infrastrutture, i servizi pubblici – che deve funzionare. Poi, è ovvio: al Sud, una politica nazionale per l’occupazione ha bisogno di maggior forza. Ma deve essere accompagnata anche da politiche locali adeguate. Decentramento, quindi, unito a responsabilità, controllo, a un meccanismo diverso di selezione delle classi politiche locali. Tutto questo, torno a dire, necessita però di un cambiamento di rotta, e non solo in Italia. L’Europa ha fatto una scelta: la stretta sui conti pubblici. Una scelta sbagliata. Nessuno può immaginare più la spesa facile, è vero. Ma il rapporto deficit/Pil non si risolve abbassando il numeratore. No, è il Pil che deve crescere: la politica della lesina non ci fa andare da nessuna parte.