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Sarà la prossima guerra del Trent'anni anni e non si sa ancora come andrà a finire. È "la guerra del lavoro", dall'omonimo titolo del libro, dedicato ai temi della disoccupazione e del precariato, scritto da Walter Passerini e Ignazio Marino, due giornalisti economici. La loro ultima opera è stata pubblicata di recente da Bur Rizzoli, ed è stata presentata stamattina a 'Scaffale lavoro', la rubrica di RadioArticolo1.
"Nel mondo del lavoro è in corso una vera e propria guerra per l'affermazione e il riconoscimento di migliori salari e diritti – ha esordito Passerini –, sulla spinta delle lotte in corso da parte dei lavoratori dei Brics, i paesi emergenti, ovvero cinesi, brasiliani, russi, indiani, sudafricani. Le lotte sindacali in Cina sono la metafora di questa guerra, che sta creando una forte pressione verso i paesi più ricchi, come Stati Uniti, Canada, fino all'Europa stessa, e si traduce in flussi migratori sempre più forti di persone che sfuggono dalla miseria per cercare fortuna in Occdente. Poi vi è un'altra guerra del lavoro all'interno degli stessi paesi europei, ad esempio Grecia contro Germania, oppure Italia contro Francia. E infine, vi è un terzo conflitto in atto all'interno del nostro Paese, tra lavoratori pubblici e lavoratori autonomi, tra pensionati e dipendenti, tra giovani e adulti, tra autonomi e partite Iva. Una guerra che coinvolge tutti e che richiederebbe una classe dirigente all'altezza".
Quella che è davvero a rischio in Italia è la coesione sociale. "Nel libro – prosegue Passerini – sosteniamo una tesi non raccolta da tutti, e cioè che il lavoro si può creare non solo sostenendo la domanda con incentivi alle imprese, ma attraverso una cabina di regìa sulle politiche attive del lavoro. Ebbene una delle caratteristiche di tale cambiamento è proprio la creazione di un nuovo patto generazionale tra adulti e giovani: ma, attenzione, questo non significa che i primi debbano rinunciare ai loro diritti per darli ai secondi, che sarebbe una visione miope del problema. Semmai, occorre allargare la torta del lavoro, in modo da poter distribuire delle fette a chi oggi non ha niente; per farlo, ci vuole un passaggio generazionale controllato, in modo che nè giovani nè anziani ci perdano. Ci vuole, da un lato, una garanzia giovani in grado di dare loro opportunità di lavoro e, dall'altro, un'uscita degli adulti non forzata e poco dignitosa com'è avvenuto nel caso della vicenda esodati".
Per risolvere la questione lavoro, sostengono i due autori nel libro, bisogna anche dare una politica industriale al paese, individuando i settori, dal turismo alla cultura, dalla moda al green e al web, su cui investire nei prossimi anni. "Per far questo – rileva Passerini –, l'Italia deve ridurre i costi di produzione, a partire da quelli energetici, più alti fino al 50% in più di altri paesi. Poi va affrontato il cuneo fiscale, con il passaggio a un carico contributivo meglio ripartito ed equo, in modo da liberare risorse soprattutto per le piccole imprese. Poi ci sono le formule contrattuali, contratti a termine, apprendistato, contratto unico, che vanno ridotte, introducendo un contratto a tutele crescenti, accompagnato dalla riforma degli ammortizzatori sociali e da una rete di servizi all'impiego".
La guerra del lavoro riguarda soprattutto il lavoro autonomo e in maniera particolare il lavoro intellettuale. "Le partite Iva non godono di ammortizzatori sociali nè benefici o sconti da parte dello Stato – spiega Marino –, che continua a tassarle al 28% con la gestione separata dell'Inps, tassazione che non ha eguali in alcun paese europeo: un primo conflitto, dunque, è fra questi due soggetti, perchè le partite Iva sono costrette a pagare quasi un terzo del proprio guadagno, senza sapere se saranno mai in grado di riscattare quei contributi. Un'altra guerra è fra liberi professionisti, come medici, avvocati, commercialisti, inquadrati in un Ordine professionale, che versano il 14% del reddito alla loro cassa di previdenza, e lavoratori autonomi che non fanno riferimento ad alcun Ordine e che versano il 28% dei guadagni ai fini pensionistici".
"In futuro, tale conflitto è destinato sicuramente a inasprirsi – conclude Marino –, perchè le partite Iva non iscritte agli Ordini non potranno sopportare l'ulteriore aggravio della contribuzione previdenziale al 33%, previsto nel 2018. In tal senso, i sindacati si stanno già mobilitando, con l'avvio di una petizione on line e con un progetto di di riforma della gestione separata dell'Inps. Un altro scenario è quello di una riforma dei cicli accademici delle università per governare gli accessi, che non si traduce nel numero chiuso, ma in una migliore articolazione dei percorsi di studio. Ad esempio, vanno disincentivate le iscrizioni degli aspiranti avvocati, essendo il settore saturo con 250.000 professionisti sul mercato, dei quali moltissimi fanno fatica a inserirsi, mentre circa 50.000 guadagnano meno di 10.000 euro l'anno. Al contrario, vi sono altre professioni che hanno bisogno di nuove leve e nuovi ingressi. Ragion per cui, una giovane matricola universitaria deve essere informata al meglio per poter orientarsi e scegliere la facoltà che dia maggiori prospettive professionali. Tutto ciò, oggi, sembra una scenario utopistico, ma le opportunità di lavoro ci sono e laddove il legislatore non è stato in grado di intercettare nuove forme di lavoro deve intervenire al più presto, perchè il lavoro lo si può creare: ci vuole impegno e leggi adeguate che creino occupazione, evitando riforme come la 'Fornero', che sono andate in direzione opposta".