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Celebrare l’anniversario della scomparsa di Giuseppe Di Vittorio, come fa ogni anno la Cgil, ci obbliga a discutere dell'uomo che gli storici considerano il fondatore del sindacato moderno in Italia. Da sindacalista rivoluzionario a diligente costituente ha dedicato tutta la sua vita alla causa della emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, alla costruzione di una democrazia avanzata nel nostro Paese.
Per noi approfondire e ricordare di Di Vittorio, non è mai mero esercizio retorico, rappresenta anzi l’occasione per una riflessione collettiva sul grande dirigente sindacale attualizzando il suo pensiero, legato certo al tempo che ha vissuto ma anche capace di grandi intuizioni ancora valide, circa orizzonti culturali e valoriali. Significa in buona sostanza discutere soprattutto della condizione del lavoro, in particolare qui al Sud, e del ruolo del sindacato per il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e dei cittadini tutti.
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Un’azione, la nostra, che punta all’estensione delle protezioni sociali in un’epoca in cui il lavoro è quanto mai frammentato, povero, precario, alle prese con una fase recessiva e politiche miopi che hanno attaccato diritti e tutele. Il Mezzogiorno, le migrazioni, la cultura, il lavoro agricolo, la difesa dei più deboli, rappresentano alcuni dei temi sui cui si è sviluppato il pensiero e l’impegno sindacale di Di Vittorio e che sono quanto mai attuali.
Così come attuale è il pensiero del Di Vittorio costituente. A lui si deve un apporto decisivo nella formulazione, sia dell’articolo 40 in materia di sciopero, sia soprattutto dell’articolo 39 riguardo al rapporto tra la libertà di associazione e la procedura di stipula dei contratti collettivi. Principi costituzionali che ispirarono il pensiero dei padri dello Statuto dei Lavoratori. Incardinato sulle Camere del Lavoro il sindacato sotto la guida di Di Vittorio espresse una grande capacità di direzione che poggiava su una diffusa, radicata e capillare presenza sindacale nel territorio.
Ricordava il bracciante autodidatta nato a Cerignola e assurto a segretario della Federazione Sindacale Mondiale come il benessere generalizzato dei lavoratori non può che derivare da un maggiore sviluppo dell’economia nazionale, da un aumento della produzione, da un aumento della ricchezza nazionale. In questo si contraddistingue il nostro impegno e spiace che ancora oggi vi sia chi pensa che difendere l’occupazione, i diritti, lottare perché vi siano opportunità di lavoro stabile e garantire un futuro per i giovani, sia in conflitto con gli interessi delle imprese e addirittura del Paese.
Il modello che puntava sull’abbattimento del costo del lavoro per competere sul mercato globale come “sistema Paese”, dopo venti anni possiamo valutarlo fallimentare. Non lo dice la Cgil ma i dati: è aumentata la disoccupazione, soprattutto per gli under 35 e le donne, l’Italia non esce dalla fase recessiva e se cresce lo fa in maniera minima e non equilibrata, soprattutto al Sud non vi sono stati investimenti.
Quel che determina attrattività per le imprese di solito è legato a disponibilità di aree infrastrutturate, di servizi avanzati per le aziende, di una burocrazia veloce e trasparente, soprattutto garanzia di sicurezza e legalità. Queste le condizioni che determinano il successo di un territorio. Non impoverire il lavoro e i lavoratori. In questo senso siamo reduci da una conquista importante sul piano legislativo, grazie alle lotte dei lavoratori e all’impegno in prima fila nelle denunce e nelle proposte della Cgil e della Flai: mi riferisco alla legge sul contrasto al caporalato.
Una piaga non più sostenibile per una regione come la Puglia che ha nell’agroalimentare uno dei suoi settori trainanti, che offende la dignità di migliaia di uomini e donne, italiani e stranieri, con sfruttamento e sottosalario. Ebbene, le reazioni di alcune corporazioni e di alcuni media ci hanno stupito: una battaglia per una norma di civiltà avversata come vessatoria per le imprese del settore primario.
Qui bisogna invece essere chiari e fermi: nessuno ha nulla da temere se agisce nella legalità. E anzi deve vedere un nemico per sé e per la collettività in chi viola norme contrattuali, evade fisco e previdenza, sottrae risorse alla ricchezza generale. Ci stupisce questa opposizione ma crediamo sia un po’ il segno dei tempi, di chi pensa di poter agire senza regole e senza rispetto delle persone in un mercato che assomiglia sempre più ad una giungla.
Noi abbiamo un’altra idea di Paese, di lavoro e di sviluppo. E ce l’abbiamo perché fedeli a quei valori cari a Di Vittorio certo, ma anche perché siamo fermamente convinti che se non vogliamo condannarci a un sottosviluppo permanente, se vogliamo vi sia un futuro per i nostri territori, soprattutto per i giovani, è necessario tornare a investire sulla formazione, sulla conoscenza, sulla ricerca, puntando su lavoro e produzioni di qualità.
Così fermeremo l’emorragia che vive il Sud, dove le giovani generazioni sono costrette a spostarsi in altre regioni italiane e sempre più spesso in altri paesi dell’Europa. Soprattutto un’emigrazione intellettuale in cui i dati sono esplicativi quanto preoccupanti: su 50mila laureati nelle università meridionali, dopo tre anni dalla laurea 20mila non lavorano e 10mila lo fanno al Nord.
Una perdita di intelligenze e capacità che impoverisce i nostri territori. Non è certo con i voucher – 4,6 milioni venduti nei primi otto mesi dell’anno solo in Puglia –, con lavori precari e malpagati che si consente ai giovani di progettare un percorso lavorativo e di vita. Servono allora politiche di tutt’altro segno, investimenti pubblici, norme inclusive e un welfare da rafforzare e non da demolire come sta avvenendo. Proposte oggi in campo e che la Cgil ha riassunto nel Piano del Lavoro che riprende la straordinaria intuizione lanciata da Di Vittorio sin dal II congresso della Cgil di Genova del 1949.
La Cgil è in campo con la sua Carta dei Diritti universali e con le sue proposte: una legge, di iniziativa popolare per un estendere diritti e tutele a chi lavora, a sostegno della quale abbiamo raccolto oltre un milione di firme, e tre referendum abrogativi che interessano voucher, difesa del lavoro negli appalti, diritto di reintegro in caso di licenziamento illegittimo.
Perché l’idea di società per cui ha lottato di Di Vittorio non è certo quella che stiamo vivendo e qui sta la modernità, l’attualità, la lungimiranza del grande dirigente sindacale: difendere la funzione sociale del lavoro e i diritti annessi significa rappresentare interessi di carattere collettivo, che coincidono con quelli generali del Paese. Ed è quello che la Cgil si sforza di fare ogni giorno nella sua azione sindacale.
Colpisce come oggi sono ancora, per certi versi, drammaticamente attuali i connotati e le intuizioni organizzative e di lotta del Di Vittorio sindacalista, soprattutto alle nostre latitudini e nelle nostre terre. La conquista e la difesa del contratto, di un orario di lavoro dignitoso, di condizioni di lavoro sicuro, di diritto allo studio e ad una cultura garantita. Contro ogni forma di sfruttamento, per un diritto di cittadinanza piena e riconosciuta.
Oggi purtroppo molti uomini e molte donne continuano a soffrire, a vivere l’umiliazione del ricatto occupazionale, la violazione delle più elementari forme di rispetto della dignità umana e professionale. Condizione che ancora si vive certamente in quella vergogna che sono i ghetti che ci circondano, nelle fabbriche che costringono uomini e donne a lavorare in condizioni di insicurezza ed insalubrità oppure negli occhi e nell’anima di giovani costretti ad emigrare. E ancora meglio, nello sguardo triste di padri e di nonni che vedono vanificate le loro battaglie fatte nella speranza di una società più equa e più giusta a favore dei propri cari.
Per questo c’è ancora bisogno di sindacato e di Cgil, ed è per questo che il pensiero di Peppino di Vittorio è ancora oggi più che attuale.
Pino Gesmundo è segretario generale della Cgil Puglia