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Silvio Trentin, docente di Diritto pubblico all’Istituto universitario Ca’ Foscari a Venezia, è tra i primissimi cattedratici italiani a rifiutare il processo di fascistizzazione dell’università, decidendo – già all’inizio del 1926 – di abbandonare non solo l’insegnamento, ma la stessa Italia.
Il 5 marzo 1926 scrive a Gaetano Salvemini, con il quale condivide la scelta precoce dell’esilio: “Mio caro Salvemini, finalmente posso scriverti. ... Sono in Francia da una ventina di giorni e mi sto lentamente sistemando in una piccola proprietà che ho acquistato col realizzo del modestissimo mio patrimonio paterno nella speranza di trovare finalmente un po’ di pace e di godere a pieni polmoni la libertà. Dopo la pubblicazione della legge per l’epurazione della burocrazia ho creduto doveroso, per quanto il sacrificio mi sia costato una pena infinita, di dare le mie dimissioni da professore stabile di diritto pubblico, denunciando la incompatibilità dei nuovi doveri di funzionario con il rispetto delle mie più intime convinzioni di studioso. Non appena potrò ti manderò il mio ultimo corso perché tu veda la resistenza che dalla cattedra ho cercato di opporre alla soverchiante tirannia dei nuovi padroni d’Italia”.
La mostra “Una famiglia in esilio. I Trentin nell’antifascismo europeo”, promossa dal Centro documentazione e ricerca Trentin, dall’Iveser e dall’Associazione rEsistenze, in collaborazione con gli Archivi fotografici e digitali del Comune di Venezia e la Fondazione Querini Stampalia, che verrà inaugurata domani nella sede nazionale della Cgil, racconta attraverso documenti e immagini gli anni dell’esilio francese di tutta la famiglia Trentin, che, oltre ad affrontare la dura vita quotidiana degli emigranti, sa inserirsi in un’eccezionale rete di relazioni con i più importanti esponenti dell’antifascismo italiano in esilio, con il mondo culturale e politico francese, nonché, nella seconda metà degli anni trenta, con i volontari di tutte le nazionalità che accorrono nella vicina Spagna per combattere il franchismo.
“Nelle memorie di famiglia Giorgio è il ragazzo gentile, tranquillo e un po’ svagato; Franca la studentessa modello che rende orgoglioso il padre; Bruno l’enfant terrible che fin dalla più tenera età concentra su di sé le attenzioni della famiglia per il suo carattere intraprendente e ribelle, con le sue ricorrenti fughe da casa … – si legge in uno dei pannelli della mostra –. Una famiglia speciale che ha fatto dell’antifascismo, della libertà, del pensiero critico, spesso controcorrente, una scelta di vita, pagata con prezzi altissimi, dalla perdita di una posizione sociale all’esilio, dal carcere alla fine prematura del capofamiglia”.
Un padre, una madre e tre figli, che hanno svolto un ruolo attivo nella lotta per la democrazia in Italia e in Europa. “Anche dopo la morte del padre e la fine della guerra – sottolinea ancora il testo redatto dai curatori della mostra –, i figli porteranno avanti quegli stessi valori, con un apporto sempre originale e di primo piano nel mondo politico, sindacale, accademico e artistico. L’intransigenza morale è il principale insegnamento che Silvio gli ha trasmesso, la ‘radicale incapacità di separare l’etica della politica, dalla propria morale quotidiana’, come dirà Bruno ….”.
L’esposizione si compone di 7 pannelli in forex, cm. 80x100, con testo e immagini, 2 pannelli in forex con testo e immagini, cm. 40x100, 4 pannelli in forex con ingrandimenti fotografici, cm. 80x100 circa, 24 cornici con stampe fotografiche in bianco e nero, cm. 50x40, 5 roll-up bifacciali (autoportanti), cm. 87x200 ognuno dedicato a un singolo membro della famiglia: Silvio, Beppa, Giorgio, Franca e Bruno. Ogni roll-up presenta su una faccia un ritratto fotografico a figura intera e a grandezza naturale, sull’altra una breve biografia, immagini e riproduzioni di documenti.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale
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