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In Ungheria la questione rom è sempre più oggetto di previsioni pessimistiche sul futuro di questa minoranza, la più cospicua del paese. Non ci sono dati sicuri sull’entità numerica, ma si stima che i rom nati e residenti nello Stato danubiano siano grosso modo 800mila. Una minoranza allogena che ha visto peggiorare notevolmente la sua situazione negli anni immediatamente successivi alla svolta politica dell’89.
Ciò vale per tutti i paesi provenienti dall’esperienza del socialismo reale ospitanti grosse comunità rom. I cambiamenti politici e la fine dell’economia di piano hanno portato, negli anni 90, alla chiusura di numerose aziende statali considerate improduttive e inadatte al nuovo corso e all’effettuazione di tagli occupazionali e alla spesa pubblica. In questo modo molti rom hanno perso il lavoro e tra essi si riscontrano attualmente i più alti livelli di disoccupazione del paese, ben oltre la percentuale media dei senza lavoro che si attesta su valori compresi fra il 10 e l’11%.
La situazione è particolarmente difficile nelle regioni nord-occidentali, dove è stanziata la grande maggioranza delle comunità rom. Si tratta di zone depresse e tuttora prive di grandi sbocchi occupazionali. Gli osservatori non possono far altro che notare il deterioramento progressivo delle condizioni di vita di questa parte della popolazione e lo stato di bisogno nel quale vivono i bambini rom. A rendere il quadro ancora più drammatico si aggiunge il fatto che il sistema scolastico del paese non è in grado di accogliere questi giovani svantaggiati e metterli alla pari con gli altri.
Imre Novák, ex insegnante e funzionario degli uffici comunali dell’ottavo distretto di Budapest, zona caratterizzata da una fitta presenza di residenti rom, sostiene che nelle scuole ungheresi non c’è una segregazione ufficiale ma spontanea, dovuta al fatto che i giovani rom non riescono a tenere il passo con gli altri per una questione di retroterra sociale. Novák aggiunge che ci sono programmi governativi per preparare questi ragazzi alla scuola, investimenti che però non sono andati a buon fine perché non hanno avuto un impatto concreto sulla preparazione degli insegnanti.
Il background familiare influisce notevolmente sulla vita dei giovani rom, che nella maggior parte dei casi vivono in case fatiscenti e nascono da famiglie che conoscono ormai da tempo il problema della disoccupazione. L’anno scorso circa 4mila rom hanno lasciato il paese per emigrare in Canada.
C’è poi il problema del difficile rapporto tra questa comunità e il resto della popolazione. Molti accusano i rom di non aver voglia di lavorare e di rifiutare l’inserimento nella società. Di vivere di espedienti e di fare figli per ottenere i sussidi statali. Il giornalista János Daruczi, appartenente alla minoranza in questione, sostiene che queste tesi sono false. Precisa che i rom lavorano in assenza di adeguate garanzie di carattere sociale e spesso vengono pagati 1.000 fiorini al giorno, circa 2 euro, per 10 ore quotidiane. Sempre che riescano a trovare un impiego.
L’altro problema che solleva il giornalista è quello della discriminazione sociale che ha avuto ultimamente tra i suoi risvolti più estremi quello delle violenze subite dai membri della comunità in cittadine poco distanti da Budapest. Violenze dovute alle formazioni paramilitari della destra radicale che sostengono di voler mantenere l’ordine che a loro avviso, e secondo il partito Jobbik, è minacciato dalla delinquenza rom. Una semplificazione atroce relativa alla solita ricerca del capro espiatorio a fronte dei problemi che attanagliano il paese. Sarebbe indubbiamente più opportuno avviare un confronto con la minoranza rom e caso mai elaborare la questione dell’impegno dei suoi membri per una vera e propria integrazione nel tessuto sociale del paese, ma questo non succede.