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Una democrazia sofferente che si ferma ai confini statali e non riconosce l’essere cittadino e i diritti connessi a chi è oltre quelle frontiere. Un dentro e fuori, “l’idea che si possa scegliere con chi coabitare”. Lo spiega così il sovranismo la professoressa Donatella Di Cesare, filosofa e docente all’Università La Sapienza, relatrice dell’ultima lectio magistralis delle Giornate del lavoro della Cgil. “Le frontiere della democrazia. Contro il sovranismo” il titolo dell’intervento svolto nella cornice del Teatro Paisiello.
“Con il crollo dei regimi totalitari pensavamo fosse stato sancito il trionfo della democrazia, ma questo è andato di pari passo con un suo svuotamento. Con il liberalismo la democrazia è diventata mero strumento quasi neutrale, ridotto alla condizione di una pacifica convivenza. In questo libero contrattare non prevalgono mai i più deboli, con una democrazia sempre più formale e dove la politica è intesa soltanto come amministrazione, come controllo poliziesco”. Un antiutopismo che ha portato all’affermazione incondizionata del capitalismo, “un ordine economico al di là del quale non ci sarebbe un oltre, o almeno non lo si riesce a immaginare”. La crisi e il disagio sociale hanno portato a “un rancore verso le democrazie, un risentimento verso la politica.
Prevale allora la visione Stato-centrica, e dopo la caduta del muro di Berlino nessuno immaginava si innalzassero nuovi muri, rappresentati dai confini nazionali”. Il sovranismo allora altro non è per la professoressa Di Cesare che “una sovranità esibita alla frontiera in maniera plateale, frontiere esibite in maniera quasi sacrale. Nell’intento di vigilare le proprie frontiere lo Stato segna la barriera tra migranti e cittadini”.
Così chi non ha cittadinanza non ha protezione di legge, non può godere dei diritti, “ha solo la propria nuda umanità. Le democrazie occidentali sono sorte reclamando i diritti dei cittadini, il dilemma viene da lontano ma si acuisce ai giorni nostri e sfocia in una tensione tra sovranità statuale e diritti. Uno iato tra interno ed esterno, con la democrazia che si ferma alle frontiere dello Stato”.
Un confine che esclude violando ogni principio di uguaglianza, “con le democrazie liberali che acuiscono questa differenza. Si è affermato un primato dei cittadini, che si articola nella grammatica di un noi, fatto di appartenenza, identità, proprietà”. Cittadini sovrani assoluti in quanto proprietari, “un equivoco grave e subdolo”. Volutamente si fa confusione su un demos, il popolo, equivalente all’etnos, la base etnica, “e contemporaneamente si sovrappone la cittadinanza politica all’identità etnica e culturale. Riemergono i fantasmi di diritto del sangue, lo spettro sottovalutato dello ius soli”.
Per la docente di filosofia ancor più deleteria “è l’idea di proprietà del territorio dello Stato. Ogni cittadino si pensa di essere proprietario di una parte del territorio nazionale, si ha a che fare con mito potente dell’autoctonia. Sono nato qui, questo luogo mi appartiene e la mia identità fa un tutt’uno con questo luogo. Mito pericolosissimo ma molto potente nel dibattito pubblico in Italia”. Un sovranismo che è presente anche a sinistra, in Italia, in Germania, in Francia, “ma alla fine ha la meglio il campanilismo della proprietà e lo sciovinismo del benessere. C’è chi afferma: se è il capitale a imporre la libera circolazione, allora siamo contro la mobilità, si introduce un concetto distorto di patria. Una deriva patriottica che si declina non di rado in un sovranismo a sfondo razzista. Alcuni di questi temi rilanciati anche a sinistra”.
Il welfare è uno dei temi su cui cavalca questo sovranismo, “la vulgata vuole che “l’immigrazione riduce i salari, toglie risorse al welfare, grava su bilancio statale. Mette a rischio la tenuta dello stato sociale. Argomento welfare ha molti paladini anche a sinistra. Si coagula qui tutta la logica proprietaria della nazione, ciò che conta è benessere degli autoctoni. Il voto degli elettori punisce quei partiti che sostengono tesi opposte, anche se le statistiche dicono altro, che vi sono motivi anche utilitaristici nell’ospitare migranti che fanno aumentare il Pil, sostengono la cassa previdenziale”.
Dove poi a funzionare è un “dispositivo immigrazione” per cui “le barriere non sono chiuse, le barriere si alzano per chi ha qualità che sono funzionali al libero mercato. Mobilità fa gioco al capitale, su questo si regge il dispositivo. Stessa strategia punta a neutralizzare e sfruttare flussi migratori, quindi misure repressive ma assieme sfruttamento della forza lavoro”.
Inclusione è assieme inclusione, “si vuole il lavoratore ma non l’essere umano, la politica migratoria non si assume responsabilità per le persone. Neoachiavismo, segmentazione etnica mercato del lavoro, precarizzazione esistenziale migranti. Potere sovrano si esercita su corpi docili ammessi e poi espulsi, dove il dispositivo migratorio è un pezzo della flessibilità richiesta dal mercato”. La convergenza di due discriminazioni – razza e classe – che si saldano e dove la vittima è il corpo del migrante. “C’è una rivalsa del locale, un revanscismo nazionalistico, contro cui si infrange l’utopia di un grande progetto politico che la sinistra ha nella sua Storia e tradizione, che è internazionalista e per una giustizia mondiale, che non può essere relegata ai confini nazionali. Il nazionalismo è il vero nemico della democrazia, al contrario la vera sfida della democrazia è quella della coabitazione”.