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Le ultime vicende relative alla questione greca – dalla proposta del cosiddetto Eurogruppo del 25 giugno, all’esito del referendum greco del 5 luglio, la ripresa e la conclusione della trattativa, fino al voto favorevole del Parlamento – obbligano ad una valutazione complessa e necessariamente articolata. Se è ormai diffusa la consapevolezza che gli ultimi eventi investono l’insieme della situazione europea, di certo, occorre procedere con grande rispetto nel formulare un giudizio sulla vicenda, vista la condizione di un popolo che si trova da anni in grande difficoltà economica e sociale, progressivamente impoverito e continuamente spinto dall’intransigenza della linea europea dell’austerità in uno scenario sempre più emergenziale, con banche chiuse da settimane, sul ciglio del fallimento, ma che al momento cruciale ha risposto con un atto democratico di riscatto e dignità.
Le informazioni sull’emergenza ellenica sono sempre state filtrate e veicolate contro le scelte del Governo greco. Come affermano anche importanti personalità del mondo scientifico, niente può giustificare la pervasiva retorica del fallimento, in realtà funzionale solo a sostenere l’impossibilità di un’alternativa alle attuali politiche di austerità. Alternative che invece esistono, ma che purtroppo non sono sufficientemente sostenute dai partiti socialdemocratici in Europa. Il giudizio sulla vicenda greca, quindi, va formulato tenendo conto di tre ordini di questioni: misure di breve periodo; misure strutturali e di medio lungo periodo; effetto politico della vicenda sul futuro dell’Europa.
Misure di breve periodo
Il confronto degli ultimi mesi aveva già il merito di aver permesso di riaprire la trattativa sull’entità degli avanzi primari (il programma pluriennale di consolidamento di bilancio imposto dopo le due precedenti tranche di aiuti prevedeva tagli alla spesa pubblica da 30 miliardi di euro in 3 anni e il rientro del deficit pubblico al 3% con una riduzione di 11 punti in quattro anni), che sono il vero cuneo delle politiche di rigore finanziario e di disastro sociale. Al termine di un lungo e complesso negoziato, che ha riguardato tanto l'Eurogruppo quanto l'insieme del capi di Stato e di governo dell'UE, l’accordo appena raggiunto fra il Governo greco e le istituzioni europee ridefinisce la gestione del debito sovrano e la programmazione finanziaria dell'economia ellenica. Alcune misure su cui è stata richiesta immediata approvazione non sono molto diverse da quelle contenute nel testo respinto dal referendum popolare del 5 luglio. In particolare:
− aumento articolato dell’IVA
− aumento dell’età pensionabile anche nel pubblico impiego (portandola nel 2022 a 67 anni o a 62 anni con 40 anni di contributi)
Sono, però, ulteriormente aumentati rispetto al piano proposto dall’Eurogruppo il 25 giugno gli elementi di equità fiscale nella politica delle entrate:
− una maggiore tassazione patrimoniale sui beni di lusso
− un maggiore aumento del prelievo sia sui redditi personali più alti, sia sugli alti profitti delle imprese
Sono stati poi assunti impegni a breve per:
− la liberalizzazione delle professioni (es. avvocati, farmacie, ecc.)
− la velocizzazione della giustizia civile
− l’implementazione anticipata della riforma bancaria europea, per la quale dinnanzi a fallimenti degli istituti di credito non ci può essere intervento pubblico di salvataggio senza pari intervento degli azionisti e la copertura assicurativa dei correntisti ha un tetto di 100 mila euro
− autonomia dell’Istituto di statistica.
Misure strutturali e di lungo periodo
Significative novità, invece, sono presenti nel piano di riforme e di misure di carattere strutturale, soprattutto se confrontate con l’accordo bocciato dal referendum:
a. Prestiti per circa 83 miliardi di euro, anziché 18, per consentire alla Grecia di non essere più esposta a rischi di crollo della liquidità e di default per almeno tre anni.
b. Prestito “ponte” immediato di 7 miliardi per arrivare al suddetto prestito, utilizzando i residui del Fondo salva-stati Esm.
c. Risorse per 7 miliardi di euro per investimenti, direttamente dal Bilancio europeo e senza necessità di co-finanziamento (recuperate dalle giacenze 2007-2013), oltre alla possibilità di ulteriori anticipi, dai 35 miliardi di euro, disponibili nei nuovi Fondi strutturali previsti, per la Grecia, per la programmazione 2014-2020.
d. Novità assai rilevante, legata all’approvazione parlamentare dei primi provvedimenti, è la ristrutturazione del debito pubblico greco (presumibilmente tra i 60 e gli 80 miliardi di euro sul totale dei 320 miliardi di debito complessivo), senza taglio nominale (il cosiddetto haircut), ma allungando le scadenze (oggi a 16 anni) e riducendo gli interessi (oggi al 2,7% annuo). È ormai ufficiale che il FMI minaccia di non partecipare a questo piano di aiuti, in quanto valuta non ancora adeguata ed efficace la ristrutturazione prevista, e ne propone una versione in cui il debito greco dovrebbe essere o tagliato per 100 miliardi di euro, o ristrutturato con un allungamento delle vigenze a 30 anni, senza interessi.
Tuttavia, su questi aspetti positivi, che rompono anche il tabù sulle possibilità di redenzione del debito, pesa il fondo di garanzia che pretendono i creditori, da costituirsi attraverso una politica di privatizzazioni per un massimo di 50 miliardi di euro (ma senza fissare un minimo), da ripartire come segue: 50% per ricapitalizzare le banche greche; 25% per ulteriori nuovi investimenti; 25% a riduzione del debito pubblico.
Conseguenze politiche
Il bilancio più critico è sicuramente quello delle conseguenze politiche e delle prospettive dell’Unione europea. Al di là del risultato referendario e di quello parlamentare, l’esito della trattativa ha salvato, per ora, l’integrità dell’Eurozona e dell’UE, ma ne ha anche ufficializzato la crisi politica. Ci sono volute le pressioni del Governo americano, del Governo cinese e del FMI per far accettare al Governo tedesco la ristrutturazione del debito greco. La reazione del Governo tedesco, però, è stata addirittura quella di formalizzare una proposta di uscita della Grecia dall’Euro. Ciò rappresenta un punto di non ritorno, perché sostituisce all’idea storica dell’Europa (definita dalla sua storia e dalla sua geografia) un’idea dell’Europa degli interessi. In altre parole: “chi può, chi vogliamo noi, chi ha interesse a starci!”.
Il senso comune che tale vicenda ha diffuso è di una governance europea che non riesce a cambiare politica neanche di fronte agli evidenti errori ed insuccessi, segnata dalla prepotenza dei governi dei Paesi del centro-nord dell’Area euro, sempre meno accettabile e accettata, che hanno persino tentato (per fortuna senza successo) di determinare un cambio del Governo greco. In generale, perciò, la vicenda greca ha prodotto un’accelerazione delle contraddizioni di fondo della stessa costruzione europea. Dunque, è ormai impellente una svolta della politica economica, sulla cui base si realizzi una maggiore integrazione politica, prospettiva per la quale la Cgil deve battersi, che chiama in causa fino in fondo la responsabilità storica del Governo italiano nel porre con forza tale esigenza.
La Cgil conferma e rilancia la proposta di convocare una Conferenza europea sul debito, con l'obiettivo di una sua generale ristrutturazione e con la concomitante emissione di eurobond per finanziare un piano straordinario di investimenti per lo sviluppo, la crescita sostenibile e la creazione di occupazione. L'abbandono delle politiche di austerità, sin qui seguite dalla Commissione europea e dagli Stati nazionali, è il presupposto affinché casi come quello della Grecia non si ripetano e si possa imprimere all'insieme dell'Europa una direzione caratterizzata da ripresa economica, giustizia sociale, partecipazione democratica. Qualora ciò non dovesse avvenire rapidamente, appare inevitabile che le spinte disgregatrici dell’attuale Unione europea siano destinate ad aumentare vertiginosamente.
* Area Politiche di sviluppo - Area Politiche europee e internazionali Cgil