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Cosi si chiude l’era Bonanni. Non è stata una fase esaltante e, certamente, non solo per la Cisl, bensì per il complesso del movimento sindacale. Proprio ieri “Conquiste del lavoro”, organo della Confederazione, pubblicava una recensione all’ultimo libro dello studioso Guido Baglioni in cui si annota, tra l’altro, come “Il sindacato, non solo in Italia, appare disorientato”. Anche se poi Baglioni incita all’ottimismo “senza nostalgie del passato… con i piedi per terra, smentendo in pratica la tesi di essere solo una grande corporazione anti-innovativa, avendo rapporti sobri con la politica”.
Ecco forse la pecca principale di Raffaele Bonanni è consistita nel non aver saputo mantenere un rapporto “sobrio” con la politica. Ovverosia di aver ecceduto in comportamenti per i quali spesso è stata posta sotto accusa la Cgil. Non lo si è notato solo quando non ha fatto propria la faticosa ricerca dell’unità sindacale, come condizione necessaria onde affermare un ruolo positivo del mondo del lavoro, perseguendo, invece, la strada degli accordi separati con il governo di centrodestra. Lo si è visto anche su altri terreni. Ad esempio nei persistenti tentativi di affermare un vero e proprio ruolo politico personale. Senza suscitare, purtroppo, serene discussioni, nel corpo cislino. Come se tutto rientrasse nella normalità. Soltanto alcuni anziani ex dirigenti piemontesi (Mario Dellacqua, Toni Ferigo, Adriano Serafino) avevano denunciato, nel 2012, sul sito www.sindacalmente.org, tale comportamento. La denuncia avveniva attraverso una nota intitolata “Bonanni deve lasciare una delle due rappresentanze”. Questo perché, ricordavano, il segretario della Cisl aveva affermato di volere operare per “la nascita di un'aggregazione nazional-popolare”, una “cosa bianca”, testimoniando un impegno a favore di una lista pro Monti. Obiettivi che sarebbero stati contrastanti con lo statuto Cisl teso a separare le responsabilità del sindacato da quelle dei raggruppamenti politici.
Fatto sta che l’era Bonanni non si può dire, in definitiva, che abbia portato a casa risultati di rilievo né sul piano politico né su quello più propriamente sindacale. E’ la stessa accusa che gli era servita quando si era trattato di scalzare il suo predecessore Savino Pezzotta, costretto ad un triste addio, nel 2006. Certo tra i successi della gestione di Bonanni, se si possono considerare tali, non si possono non considerare quelli relativi a un definitivo seppellimento della dialettica interna all’organizzazione. Era il rapporto intenso, a volte anche combattivo, tra una componente cattolico-sociale, quella sempre ricondotta a Pierre Carniti, e una corrente cattolico-moderata. Tale dialettica aveva dato alla Cisl la fisionomia di un soggetto ricco di idee e di aperture, di capacità di analisi e proposte. Non certo per seguire pedissequamente le strade tracciate dalla Cgil, ma per instaurare, quando necessario, un confronto anche aspro. Basti pensare alla vicenda della scala mobile, nel 1984, con un obiettivo perseguito non tanto per compiacere il governo Craxi, quanto per affermare una convinzione (discutibile finché si vuole) maturata nel seno della organizzazione (con la collaborazione di Ezio Tarantelli). Fatto sta che quella Cisl ricca di risorse ed energie, non appare più alla ribalta.
E’ però sul piano dei risultati direttamente sindacali che non si può proprio parlare di approdi rilevanti. Unico esito, ancora tutto da sfruttare, davvero importante, riguarda il recentissimo accordo sulla rappresentanza. Un accordo, guarda caso, raggiunto proprio quando si è ripreso un cammino unitario con la organizzazione di Susanna Camusso. Occorrerebbe però, invece, interrogarsi su che cosa resta dei tanti accordi separati. Oggi si parla, nella discussione sul Job act e sull’articolo 18 da sacrificare, spesso e volentieri delle presunte responsabilità dei sindacati a proposito della massiccia e crescente marea di giovani precari. Dove eravate voi chiede sarcastico Matteo Renzi dagli schermi televisivi, rivolto ai sindacati indistintamente. Ed è vero che c’è stata una debolezza sindacale nell’azione tesa a rappresentare e tutelare i nuovi lavori ballerini. Ma chi ha varato e chi ha contribuito a varare quello che è stato definito il supermercato della flessibilità? Conservo ancora il dispaccio Ansa in cui Bonanni dava del “bieco” a Guglielmo Epifani, allora segretario della Cgil, perché osava riproporre la richiesta di cancellare la legge 30, la legge che, usando strumentalmente il nome di Biagi, apriva la strada al dilagare del precariato.
E’ lo stesso Raffaele Bonanni che in un libro autobiografico, “Il tempo della semina”, redatto con Ludovico Festa, già caporedattore de “Il Foglio” dipingeva, nel periodo dell’ultimo centrodestra, una situazione italiana pressoché miracolosa. Una situazione, per i lavoratori italiani, scriveva, “tutt’altro che negativa” poiché si governava “una crisi durissima senza perdere i nervi”. Un’analisi che non vedeva il baratro in cui l’Italia stava precipitando e che individuava un solo ostacolo nell’”estremismo sindacale”. Ovvero di chi, secondo Bonanni, parlava a vanvera di diritti calpestati senza vedere i benefici.Insomma in quel periodo, in realtà, non si stava seminando bene, per rifarsi al titolo del libro autobiografico. E dispiace che la Cisl dell’epoca, scomparsi i partiti di riferimento, sia apparsa, almeno nel senso comune, come un perno fondamentale dell’operato del morente governo di centrodestra.
Ora siamo di fronte a una fase nuova. E per la prima volta, come nella Cgil, compare una donna, Annamaria Furlan, alla guida dell’organizzazione. Una novità non dappoco, foriera, confidiamo, di altre novità. “C’è scarsa fiducia nel futuro - annota ancora Guido Baglioni nella recensione su “Conquiste” - e la speranza di un miglioramento risulta assai ridotta”. Non per questo può venir meno, osserva, “l’esigenza di un impegno del mondo del lavoro e delle sue organizzazioni”. Soprattutto, piace aggiungere, se questo impegno sarà unitario. Perché una cosa avrebbero dovuto capire tutti, meditando sul passato. Ovverosia che da soli non si va da nessuna parte. O si diventa semplici complici di governi inefficienti che calpestano le speranze del mondo del lavoro. O si vestono i semplici panni di dignitosi testimoni. Due ruoli che trasformano il sindacato in un ente inutile, irrilevante.