PHOTO
Palermo – Il 25 marzo sarà intitolata la sede della Camera del lavoro di Ventimiglia di Sicilia a Giuseppe Puntarello, dirigente sindacale della Cgil del paese, caduto nella lotta contro la mafia il 4 dicembre del 1945. Sarà l'occasione per la Cgil di commemorare per la prima volta, dopo 72 anni dalla sua uccisione, la figura del sindacalista, il cui nome fa parte di quel “calendario della memoria” che il sindacato palermitano ha ricostruito per commemorare tutti i suoi sindacalisti morti, da Placido Rizzotto e Epifanio Li Pima, da Nicolò Azoti a Salvatore Carnevale, agli altri meno conosciuti.
L'intitolazione avverrà alle 16.30 presso la sede di via Umberto I, 60. Intervengono Dino Paternostro, responsabile Legalità Cgil Palermo, Gino Anzalone, responsabile Flai Cgil di Ventimiglia di Scilia, Giuseppe Rizzo, nipote di Giuseppe Puntarello, Antonio Rini, sindaco di Ventimiglia di Sicilia. Conclude il componente della segreteria generale Cgil Palermo Mario Ridulfo.
“Per la prima volta, dopo 72 anni, ricordiamo Giuseppe Puntarello, che la mafia di Ventimiglia prima assassinò e poi mise in atto sulla sua morte un'azione di depistaggio per farlo dimenticare – dichiarano Dino Paternostro e Mario Ridulfo -. Oggi possiamo dire che non ha vinto la mafia: sta vincendo il movimento dei lavoratori, stanno vincendo i cittadini e le istituzioni democratiche che stanno ridando a Puntarello il posto che merita nella storia. Puntarello, con tutti gli altri caduti del movimento contadino e bracciantile, fa parte a pieno titolo del nostro calendario della memoria, che sta diventando il calendario della memoria della nostra Sicilia. Ricordando lui e gli altri caduti troviamo stimoli ed energia per continuare oggi la battaglia per i diritti e per il lavoro”.
Alla cerimonia interverrà un nipote di Puntarello. “Mio nonno – dice Giuseppe Rizzo, figlio di Alfonsina – dopo la guerra, si adoperò con altri per animare la vita sociale e politica di Ventimiglia, schierandosi con i braccianti e i contadini poveri, che sognavano un futuro migliore. Per anni a casa mia non si è mai potuto parlare del suo assassinio, perché mia nonna e mia madre chiudevano subito il discorso, convincendosi che fosse stato ammazzato per sbaglio. Un modo per esorcizzare la paura, per non fare i conti con la realtà. Sono contento che oggi la Cgil ricordi mio nonno come dirigente politico e sindacale, ridandogli il posto che merita nella storia”.
Chi era Puntarello
Quando venne assassinato, Giuseppe Puntarello aveva 53 anni. Era nato a Comitini il 14 agosto del 1892. Da Comitini si era stabilito nel 1932 a Ventimiglia di Sicilia, dove aveva trovato lavoro e una casa in via Garibaldi. Nel 1939 dovette emigrare ad Asmara, in Eritrea, e tornò due anni dopo. Nell'immediato dopoguerra aderì al Partito comunista, divenne segretario della locale sezione, e fondò la Camera del Lavoro. Si distinse per il coraggioso impegno in difesa del movimento contadino di Ventimiglia, nella lotta per la terra e per l’applicazione dei decreti Gullo.
Alla sua morte, lasciò la moglie Vincenza Samperi di 48 anni e 5 figli: Carmelo, Alfonsina, Giuseppe, Matteo e Vincenzo. Il figlio più piccolo aveva 10 anni, la moglie rimase senza pensione perché allora non c'era la legge sulla reversibilità. I piccoli furono aiutati dai nonni, mentre Matteo, che era sordomuto, venne portato in collegio. Il figlio Giuseppe fu assunto dall’I.N.T. al posto del padre, ma dopo pochi mesi fu licenziato.
Puntarello lavorava come autista della ditta I.N.T.. Da diversi anni conduceva l'autobus che collegava Ventimiglia di Sicilia a Palermo, alternandosi nella guida con un compagno di lavoro, pure lui di Ventimiglia. Quel 4 dicembre 1945 avrebbe dovuto essere di turno il suo collega, che però gli chiese di sostituirlo. Puntarello accettò e all’alba s’incamminò verso l’autorimessa per andare a prelevare l'autobus. Un commando mafioso lo costrinse a fermarsi per strada e lo uccise con fredda determinazione, sparandogli contro diversi colpi di lupara.
In quei giorni a Ventimiglia si sparse la voce che l'obiettivo vero dei killer non fosse Puntarello, ma il suo compagno di lavoro. Fu il classico depistaggio mafioso per confondere le acque. “La verità - scrivono Alfonso Bugea ed Elio Di Bella, nel libro “Senza Storia” - venne a galla qualche anno dopo. Puntarello era stato ucciso per il suo impegno di dirigente della Camera del Lavoro. Si era trattato, insomma, di uno dei tanti omicidi che in quegli anni la mafia compiva per piegare il movimento contadino in lotta per le terre”.
A capire subito la matrice mafiosa del delitto furono la Cgil e i partiti di sinistra. Già il 5 dicembre 1945 “La Voce della Sicilia” scrisse: “Ieri mattina è stato assassinato a Ventimiglia, in provincia di Palermo, il compagno Giuseppe Puntarello, segretario della locale sezione comunista. Già varie volte la sezione aveva ricevuto minacce dalla maffia del luogo, al soldo del separatismo agrario, di cui anche il sindaco è un esponente. C’è di più: il maresciallo dei carabinieri aveva intimato ai nostri compagni la chiusura della sezione minacciando inoltre il confino ai compagni più in vista. Purtroppo non è la prima volta che i nostri compagni rimangono vittime della reazione agraria”.
Non fu fatta nessuna seria indagine sul delitto, nonostante la volontà di collaborare con gli inquirenti manifestata dagli operai della Federazione Regionale Lavoratori Autotrasporti dell’I.N.T. , compagni di Giuseppe Puntarello. “I lavoratori dell’I.N.T. - scrive ancora ‘La Voce della Sicilia’ del 15 dicembre 1945 - sentendo come un proprio lutto il lutto della famiglia Puntarello, (...) si mettono a disposizione delle autorità con le quali collaboreranno nella ricerca dei colpevoli, perché vogliono che le indagini siano condotte a fondo e non si fermino agli autori materiali dell’assassinio”.
(scheda a cura di Dino Paternostro)