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Un accordo su una proposta economica superiore a quella avanzata dall'azienda. Questa la decisione del giudice del lavoro di Monza, arrivata nella tarda serata di giovedì 11 maggio, sulla delicata vicenda della K-Flex di Roncello (Brianza). Il giudice doveva decidere in merito alla procedura di licenziamento collettivo avviata dalla multinazionale, impugnata dai sindacati sulla base di un accordo del 28 dicembre scorso, con il quale l’azienda si impegnava a non ridurre il personale per l’intero 2017. Nell'udienza il giudice ha proposto alle parti di trovare un’intesa, evitando così di pronunciare la sentenza, aumentando il budget economico proposto in precedenza (che era pari a 30 mila euro lordi di buonuscita per ogni dipendente). Adesso la parola passa all'assemblea dei lavoratori, che dovrà decidere entro lunedì 15 maggio la risposta da dare.
“La vicenda K-Flex – spiega una nota della Cgil Lombardia - ha messo drammaticamente in evidenza la protervia e l'impunità di un'azienda in crescita, che ha usufruito di ingenti contributi pubblici per poi delocalizzare, disattendere gli impegni assunti e mettere sulla strada i propri dipendenti. Ma anche l'impotenza delle istituzioni pubbliche e del governo di fronte a operazioni aziendali senza scrupoli come questa”. Per il sindacato “è inconcepibile che le risorse pubbliche debbano servire a finanziare le delocalizzazioni e le chiusure aziendali, anziché difendere l'occupazione e crearne di nuova, rilanciare il nostro patrimonio produttivo e salvaguardare le nostre eccellenze”.
La K-Flex, azienda leader nel campo degli isolanti termici e acustici per edilizia e industria, è di proprietà della famiglia Spinelli. Ha impianti produttivi in 11 paesi, per complessivi 2 mila addetti. Soprattutto è un’impresa in salute: ha bilanci in attivo (nei prossimi due anni dovrebbe superare i 500 milioni di fatturato), acquista altre aziende (come la francese Sagi Arma Decoup) e annuncia investimenti rilevanti negli Stati Uniti. Ma lo stabilimento di Roncello, dichiara la multinazionale, è in rosso: nel periodo compreso tra il 2013 e il 2015 avrebbe perso 4 milioni di euro. I sindacati, da parte loro, accusano invece la società di voler chiudere in Italia per poter spostare tutto in Polonia, dove è già attivo un impianto con circa 250 dipendenti.
“La K-Flex, senza alcuna ragione, se non quella del profitto, ha deciso di trasferire in un altro paese le produzioni che da sempre svolgeva in Italia”. Così ha scritto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, in una lettera inviata ai lavoratori dell’azienda in occasione del Primo Maggio. “Ha tolto il lavoro – ha aggiunto – a chi in questi anni ha contribuito in modo determinante con fatica, con impegno e competenza a farla crescere”. Camusso ha poi garantito il massimo impegno della Cgil affinché “si facciano seri provvedimenti sulle delocalizzazioni. Non può essere che un’azienda italiana, in attivo, senza alcuna ragione industriale, se non quella di pagare meno i lavoratori, trasferisca all’estero le produzioni e che dal governo non si alzi una voce, si ponga un problema, si metta in atto un’azione di persuasione”.
Il presidio e lo sciopero a oltranza organizzato dai lavoratori dura ormai da 108 giorni. “In questo periodo – scrivono Filctem Cgil e Femca Cisl della Brianza – abbiamo misurato l'assenza totale di volontà da parte della K-Flex di impegnarsi sul piano industriale e sugli ammortizzatori sociali. E abbiamo verificato l'incapacità della politica e delle istituzioni di produrre interventi efficaci e indirizzare l'azienda, destinataria di 30 milioni di euro pubblici, al mantenimento dell'occupazione”. Adesso, concludono i due sindacati, “con senso di responsabilità portiamo ai lavoratori e alle lavoratrici in assemblea la proposta di mediazione e saranno loro a decidere democraticamente se accettare o rifiutare”.