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La contrattazione in tema di salute e sicurezza deve continuare a essere, partendo proprio dalle proposte unitarie presentate a Bologna nell’ottobre 2014, lo strumento fondamentale per rendere effettivo il diritto alla salute e alla sicurezza di lavoratrici e lavoratori in un contesto che vede profonde modifiche delle leggi e dei diritti del lavoro. Un diritto primario, insopprimibile e codificato dalle direttive comunitarie e dalla legislazione nazionale, ma che non è ancora pienamente effettivo, anche se i dati del Rapporto annuale Inail ci parlano di un andamento decrescente della serie storica del numero degli infortuni.
In conseguenza di questo scenario risulta necessario che la contrattazione si rafforzi nel ruolo di attrice e garante del diritto alla salute e sicurezza non solo agendo su quanto sancito dalle legislazioni, ma riappropriandosi dei temi legati all’organizzazione del lavoro, non delegando la materia solo ai “tecnici”. Il percorso che può garantire il consolidamento di questo diritto passa quindi attraverso la nostra capacità di essere maggiormente inclusivi, stando più attenti a quelle fasce, sempre più ampie, di mercato del lavoro meno organizzato, maggiormente precario, fatto di appalti, di piccole imprese, di ricorso ai voucher.
Occorre quindi partire dalla formazione come primo elemento di prevenzione, approfondendo poi gli effetti che l’organizzazione del lavoro ha sul tema. Dobbiamo infatti pensare a elementi come la gestione degli orari, i ritmi di lavoro, la gestione delle mansioni per capire il nesso e l’impatto che l’organizzazione del lavoro ha sul benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come porre al centro della nostra attenzione le differenze di genere, l’invecchiamento dei lavoratori, lo stress-lavoro correlato.
L’organizzazione del lavoro che non può quindi continuare a essere considerata, come molta parte datoriale pensa, una variabile indipendente rispetto a salute e sicurezza. Anche perché l’esperienza evidenzia che un minor numero di infortuni, una minore insorgenza di malattie professionali e una maggiore produttività si hanno quando vi è una stretta correlazione e una gestione più integrata dell’organizzazione del lavoro con la salute e sicurezza. Per questo potrebbe essere utile dare maggiore attuazione all’art. 30 del d.lgs 81/2008 dove si parla di modello di organizzazione e gestione della sicurezza. Tema che forse sarebbe più utile e più facile affrontare attivando un’effettiva ed efficace collaborazione tra le diverse forme di rappresentanza presenti nei posti di lavoro, con una compartecipazione degli Rls alla contrattazione aziendale senza relegarli al solo ruolo di tecnici.
Un’attenzione particolare dobbiamo continuare a porla verso tutte le forme di lavoro precario, perché se è vero che sono destinatarie delle previsioni del d.lgs 81/2008, nella realtà non è così generalizzato il rispetto concreto e uniforme della normativa. Ci sembra di poter dire con certezza che gli interventi legislativi più recenti, il Jobs Act e i suoi decreti attuativi, non favoriranno questo processo. Anzi tali decreti, non solo quello sulle cosiddette tutele crescenti, ma anche quelli sul demansionamento e sul controllo a distanza, che riguarderanno tutti i lavoratori e le lavoratrici, avranno un impatto pesante sulle condizioni di lavoro e sul benessere psico-fisico. Infatti già oggi vessazioni, pressioni sul lavoro, elevata flessibilità e senso di precarietà creano disagi psicologici e stress da lavoro correlato più elevati che in passato; e una normativa totalmente sbilanciata verso la parte datoriale non potrà certo migliorare la situazione. Dobbiamo invece domandarci se ci sarà ancora chi avrà ancora il coraggio di denunciare “vessazioni”, mobbing, malattie professionali se questo mette a rischio il posto di lavoro.
Le riforme del mercato del lavoro messe in atto nel nostro paese, che rendono i lavoratori e le lavoratrici sempre più “a disposizione” dei datori di lavoro, non potranno che portare a un aumento delle patologie psico-fisiche derivanti dal disagio lavorativo. Spetta a noi il compito di tenere alta l’attenzione, trovando il modo di non fare passi indietro nella tutela di un aspetto della vita lavorativa che coinvolge pesantemente anche la sfera privata delle persone. Dovremo vigilare, perché non aver reso obbligatoria la formazione in caso di demansionamento esporrà i lavoratori e le lavoratrici a maggiori rischi in termini di salute e sicurezza. E uno strumento per vigilare dovrà essere quello della contrattazione, allo scopo di reinserire e rafforzare aspetti che le normative legislative stanno indebolendo.
Anche l’utilizzo esponenziale dello strumento dei “voucher” porta con sé elementi fortemente critici in tema di salute e sicurezza. In questo il Veneto ha un triste primato: nei primi quattro mesi del 2015 risultano già acquistati circa la metà del numero di voucher acquistati nel 2014 (per un valore di oltre 4 milioni di euro, con un aumento del 60 per cento rispetto al 2014), con un ampliamento dei settori di utilizzo (in calo nel settore agricolo, in forte aumento nel commercio, turismo e servizi). Va sottolineato che il lavoro con i voucher, non essendo regolato come un normale rapporto di lavoro, si presta a un uso illecito, ad esempio per coprire eventuali incidenti sul lavoro.
Non di meno risulta prioritario affrontare questo tema anche nella dinamica degli appalti, non considerandolo solo un espletamento formale, ma prevedendo nei capitolati, oltre alla quota destinata alla sicurezza, dei sistemi di monitoraggio che coinvolgano i delegati sindacali non solo delle imprese in appalto, ma anche delle imprese in committenza. Risulta evidente come il nostro compito sia quello di controllare che attraverso questo strumento le aziende non eludano la normativa sulla sicurezza per fare ulteriori risparmi, monitorando in particolare il rispetto dei percorsi formativi obbligatori, affinché questi lavoratori e lavoratrici siano messi nelle condizioni di ridurre al minimo i rischi cui possono esser esposti. Il ruolo della contrattazione in questo ambito, quindi, deve indirizzarsi verso interventi che assicurino che nelle forme di lavoro precario non vi siano normative vessatorie e/o elusive degli obblighi datoriali; stabiliscano percorsi di verifica degli obblighi formativi nelle nuove assunzioni; aumentino e rendano maggiormente esigibili per il lavoro precario le assemblee con Rls, Rsa/Rsu.
Tenuto conto del tessuto economico produttivo del nostro paese, fatto di imprese di piccola dimensione e di artigianato, un ruolo importante possono svolgere gli organismi paritetici, e la rete che questi possono costruire per essere da supporto a imprese e lavoratori in stretto raccordo con Rls e Rlst. Non aiuta questo percorso quanto recentemente precisato da una nota del ministero del Lavoro (n. 9483/15) che ha annullato le sanzioni imposte dal sistema di vigilanza a un datore di lavoro per aver fatto della formazione con organismi paritetici irregolari. Riteniamo che non basti assicurarsi che la formazione sia fatta, ma anche garantire che chi la fa abbia tutte le carte in regola, altrimenti si rischia di facilitare il “fai da te” e la ricerca delle vie più facili che garantiscono un rispetto formale delle regole, ma non sostanziale.
Vorrei infine ricordare un ulteriore decreto attuativo del Jobs Act, quello di riforma delle agenzie ispettive sul lavoro, orientato all’accentramento e all’integrazione dei servizi ispettivi di ministero del Lavoro, Inps e Inail. Una misura che suscita (in attesa della sua approvazione definitiva) preoccupazione anche dal punto di vista della salute e sicurezza. Il timore è legato, in particolare, agli interventi previsti sulla “Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza”, che, se rivista nella composizione e nei ruoli, potrebbe determinare un ulteriore indebolimento delle organizzazioni sindacali e il graduale quanto pericoloso allontanamento dei luoghi di lavoro, così come preoccupa la riduzione (seppur minima) del numero di sedi territoriali e la definizione degli organici.
* segretario confederale Cgil Venezia