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In base allo studio “Taxing Wages” dell'Ocse, il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti – cioè il prelievo complessivo di tasse e contributi sulla retribuzione lorda – è aumentato di 0,76 punti percentuali nel 2015, arrivando al 49 per cento. Il nostro paese sale così al quarto posto tra i 34 Paesi Ocse per il peso del cuneo fiscale sul salario del lavoratore medio “single” senza figli, affiancando l'Ungheria e superando la Francia (48,5%) e allontanandosi ancor più dalla media Ocse (35,9%). Al primo posto di questa poco invidiabile classifica resta il Belgio, con il 55,3% (in calo, però, di 0,3 punti), davanti ad Austria (49,5%, +0,09) e Germania (49,4%, +0,2). L'incremento segnato dall'Italia è il secondo maggiore dell'Ocse, dopo il Portogallo (+0,86 al 42,1%), ed è da imputare completamente alle imposte sul reddito, mentre sono stabili i contributi previdenziali.
La pressione fiscale sulle famiglie monoreddito con due figli è salita ancor di più: è aumentato di 0,93 punti al 39,9% e pone in questo caso l'Italia al terzo posto per peso del cuneo fiscale. In questo caso, l'Italia è al quindicesimo posto per costo totale del lavoro (54.484 dollari per dipendente “single” a parità di potere d'acquisto) e al diciannovesimo per salario lordo, con 41.250 dollari. Sostanzialmente, l'Ocse conferma che i salari dei lavoratori italiani sono tra i più tassati, mentre si collocano nella parte bassa della classifica quanto al loro livello. I dati diffusi lo scorso anno sulla media dei salari reali collocavano quelli italiani al ventesimo posto nell'Ocse: con 35.442 dollari a parità di potere d'acquisto, ben lontani dalla media di 46.533 dollari, ma anche dai salari reali tedeschi (44.007 dollari), francesi (40.917 dollari) e finanche spagnoli (38.386 dollari).
Tornando al cuneo fiscale, nell'area Ocse nel 2015 si è allargato in 24 Paesi ed è diminuito in otto. In media, però, è rimasto invariato rispetto al 2014 al 35,9%, dopo essere aumentato di 0,9 punti tra il 2010 e il 2014 e calato di un punto dal 36% al 35% tra il 2007 e il 2010. In Italia il cuneo fiscale deriva da imposte sul reddito pari al 17,5% (dal 16,7% del 2014), contributi a carico del dipendente per il 7,2% e contributi a carico del datore di lavoro per il 24,3%. Al primo posto per costo totale del lavoro c’è la Svizzera, con 74.255 dollari, davanti al Belgio (74.137) e alla Germania (71.579). La Francia è ottava con 63.562 dollari, dietro all'Olanda (66.900) e davanti alla Svezia (61.350 dollari). Il Regno Unito, dodicesimo con quasi 57mila dollari, precede gli Usa (55mila).
Passando al salario lordo (quello che si vede in busta paga), in Italia, dove risulta pari a 41.250 dollari, registra un prelievo complessivo del 32,6%, derivante da un'incidenza delle imposte sul reddito pari al 23,1% e da contributi sociali per il 9,5%. Nell'area Ocse i prelievi più alti sul salario lordo sono in Belgio (42%) e Germania (39,7%). Altro dato in controtendenza rispetto alla media Ocse è l'andamento del peso del cuneo fiscale negli anni. Dal 2000 al 2015, mentre nella media Ocse è disceso dello 0,7%, dal 36,6% al 35,9%, in Italia è salito dal 47,1% del 2000 al 49% dello scorso anno. Disallineamento ancor più sensibile a partire dal 2009 – cioè negli anni della crisi – quando nell'area Ocse il cuneo fiscale è sceso dello 0,9%, mentre in Italia è salito del 2,2%.
Nei giorni scorsi, il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha espresso preoccupazione sulle clausole di riduzione di aumento dei salari contrattuali a fronte di bassa inflazione, per il rischio di favorire le tendenze deflazionistiche. Forse sarebbe ora di un serio ripensamento del governo e degli imprenditori sul ruolo e sul peso dei salari, come su quello di una loro eccessiva tassazione, tanto più in confronto alla bassa tassazione reale di capitali e profitti.
Leopoldo Tartaglia, politiche europee e internazionali Fondazione Di Vittorio