“Una sentenza, che sia detto nel massimo rispetto dell'Alta corte, non condividiamo assolutamente. E' il Parlamento adesso che deve fare chiarezza, determinando una vera giustizia sociale nei confronti dei più poveri e dei più deboli, come lo sono gli invalidi”. Così la responsabile dell'Ufficio Politiche per la disabilità della Cgil nazionale, Nina Daita, commenta la sentenza della Cassazione che ha sancito come sia il reddito familiare e non quello individuale il riferimento per riconoscere il diritto alla pensione di invalidità.
La dirigente sindacale ricorda come “la sentenza di oggi non fa legge e, in ogni caso, occorre che il Parlamento faccia presto chiarezza perché l'invalidità in quanto tale è un fattore individuale e non certo familiare”. Per Daita “pensare di colpire così i più deboli non può appartenere a uno stato che pretenda di essere equo e governato dal semplice buon senso”.
Il reddito da conteggiare, sottolinea ancora la sindacalista, “deve essere quello individuale perché l'invalidità stessa è individuale. Prendendo come riferimento invece il reddito familiare non si fa altro che colpire la parte più debole e indifesa del Paese, introducendo per paradosso gravi discriminazione tra gli stessi invalidi. Basta pensare che due persone con una stessa invalidità possono o meno percepire l'assegno se siano sposati o meno. Un fatto inconcepibile. L'assegno deve legato all'invalidità e anche ad un reddito ma quest'ultimo di certo non può essere un discrimine”. La CGIL in ogni caso, conclude Daita, “si farà garante e lotterà con tutte le sue forze contro questa sentenza che riduce i diritti di cittadinanza”.
Invalidità: Cgil, sentenza Cassazione non condivisibile
22 marzo 2013 • 00:00