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L'intervista integrale, con approfondimenti e analisi, è uscita sul numero 26 di Rassegna sindacale (luglio 2012). Per informazioni: vendite@rassegna.it
Di spending review, dell’ultimo decreto governativo e quindi della situazione generale italiana ed europea in cui si inseriscono le ultime mosse del governo Monti discutiamo con Paolo Leon. Il professore non si nega a nessuna domanda ed è visibilmente poco ottimista (per utilizzare un eufemismo) sul futuro. Siamo partiti dall’attualità del decreto di riduzione della spesa, quello che ormai tutti chiamano della spending review.
Leon È un termine che nei fatti non vuol dire nulla, che viene utilizzato per coprire operazioni di altra natura, in questo caso di semplice taglio, perché quello che è importante per l’Europa sono i saldi. La vera operazione sarebbe stata, se dobbiamo usare sempre l’inglese, uno “zero base budget”, un bilancio a base zero, dove ogni voce di bilancio delle diverse categorie di enti, dallo Stato agli enti locali, viene riesaminata per valutarne l’utilità ai fini della collettività. Questo esercizio, che qualche paese ha fatto e fa, sia pure una volta ogni cinque-dieci anni, da noi non è mai stato fatto. E così ci trasciniamo una struttura di bilancio che è stata rivista – credo – solo una volta in più di cento anni e dove i cambiamenti, che ci sono stati, sono stati quasi tutti aggiuntivi. Quando si dice spending review ci si deve chiedere: fatto quel determinato taglio, supponendo che non sia lineare, che riduzione dell’utilità per i cittadini ne deriva? I tagli della spesa veramente inutile sono già stati fatti negli anni. Ci sono ancora ovviamente delle sacche di inutilità, ma trovarle implica appunto giudicare se una certa spesa è utile o no.
Rassegna Quindi il fatto che nel “titolo” del decreto si parli di invarianza dei servizi per i cittadini, nonostante i tagli, è quantomeno utopico…
Leon Io penso che sia peggio, che sia fumo negli occhi. Le faccio un altro esempio. Quando si tagliano impiegati e dirigenti dello Stato e delle amministrazioni, sarebbe necessario rivedere non semplicemente la pianta organica, cosa che pure non hanno fatto, ma proprio l’organizzazione della produzione pubblica. Sappiamo che quell’organizzazione non funziona perché non è al massimo della sua efficienza, anzi, forse è al minimo, ma togliere semplicemente le persone non aumenta l’efficienza. Non sappiamo se il risultato sarà pessimo o cattivo. Comunque non sarà buono.
Rassegna Senta professore, ma con tutti questi tagli negli anni il paziente Italia sopravvive?
Leon Sì, per la semplice ragione che esiste uno Stato minimo in nuce dentro ciascuna comunità rappresentato dalla difesa, dalla giustizia e dalla polizia: tutto il resto non apparterrebbe a un vero Stato liberale. E siccome il nostro governo tecnico è un vero governo liberale, potrebbe affondare il coltello fino in fondo e limitare fortissimamente i diritti sociali, come del resto ha detto esplicitamente il ministro del Lavoro. Quando si dice che la concertazione non va bene, o che il ’68-69 è la causa dei nostri guai, si sta sostenendo che è lecito erodere i diritti sociali, quelli sui quali è costruita la Costituzione.
Rassegna Ma così le prestazioni del welfare come le conosciamo sono a rischio di scomparsa…
Leon Nella forma pubblica, certo. Ciascuno dovrà pagarsele di tasca propria. D’altronde se si vogliono meno tasse, non si possono avere i servizi pubblici gratis. L’ambiguità del potere politico con il governo tecnico è dovuta al fatto che tutte le forze politiche, con qualche eccezione e qualche gradazione di enfasi, ritengono che il sistema fiscale stia diventando insopportabile. E questo provoca necessariamente una specie di vendetta nei confronti dello Stato sociale. Il fatto è che il disavanzo pubblico, compreso quello determinato dai servizi sociali, prima degli anni 80, quando fu costruito lo Stato sociale, era finanziato anche dalla Banca d’Italia, con l’acquisizione di titoli di Stato, che non venivano messi sul mercato, in cambio di moneta. Questo se lo dimenticano tutti. Fu il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia che cominciò a dare frutti velenosi nei confronti dello Stato sociale. Se ne resero conto in pochi all’epoca, non il centrosinistra né il sindacato. Adesso stiamo chiedendo alla Banca centrale europea di fare la stessa operazione, di comprare cioè i titoli di Stato dei paesi in difficoltà. Naturalmente la Bce non lo fa e allora abbiamo soltanto la possibilità di finanziare lo Stato sociale con il ricorso alle imposte o con la vendita del patrimonio. Ma la vendita del patrimonio è difficile in un mercato come questo e in ogni caso esige operazioni molto complesse e non rende granché, a meno che non si venda qualcosa di importante come il Colosseo. L’aumento delle tasse è stato fatto, quindi a questo punto, ai cittadini non resta che cavarsela da soli.