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“Il primo problema che abbiamo è quello di cambiare rapidamente la nostra pratica contrattuale. Dobbiamo trovare il momento in cui studio e conoscenza si traducono in atti”. Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, chiudendo l'iniziativa “Nuovo modello di sviluppo ed innovazione: quali politiche industriali? Quale azione sindacale” organizzata a Roma, il 22 febbraio, dalla confederazione di corso d’Italia.
L’Istat – sottolinea Camusso – nel Rapporto 2017 sull’occupazione fornisce un dato evidente: “117 mila contratti a tempo indeterminato in meno rispetto all’anno precedente. Siamo di fronte a una ripresa dell’instabilità e temporaneità dell’occupazione”. Il che “si traduce in precarietà nella vita delle persone”. “Anche in presenza di una ripresa – osserva il leader Cgil – non cresce l’occupazione stabile. Noi siamo ancora dentro la crisi”. Per il segretario si tratta ormai di una “crisi strutturale” che coincide con “l’ingresso in una stagione di innovazione che ha distrutto posti di lavoro”. Nonostante il “calo demografico, non abbiamo scalfito minimamente le condizioni della disoccupazione giovanile”, aggiunge Camusso, perché “c’è un tasso di crescita troppo basso”.
Eppure “avremmo le condizioni per rispondere alla crisi. L’abbiamo detto col Piano del lavoro. Ma manca il punto di partenza nella politica del Paese, ossia gli investimenti. Soprattutto gli investimenti pubblici: deve essere quello il volano che metti in moto. Innanzitutto un volano territoriale e delle infrastrutture. Bisogna partire dalle aree di crisi, dove la qualità sociale non c’è: lì, dove mancano i soldi, occorre investire e intervenire”, ha detto Camusso facendo l’esempio di Gioia Tauro: “Se vogliamo farne un grande porto mediterraneo, servirà anche un ospedale?”.
“Mancano investimenti pubblici e territoriali – prosegue il segretario generale della Cgil -, e sono cresciuti i divari, perché l’investimento privato non ha compensato. In questi tre anni le imprese hanno preso tre miliardi di risorse, ma non è tornato a investimento lo stesso valore distribuito nell’industria 4.0. Abbiamo fatto crescere i patrimoni e i profitti, non l’investimento”. E aggiunge: “se quelle risorse fossero state distribuite con vincoli di progetto, avremmo potuto controllarle meglio”.
“L’Italia – rileva Camusso – rimane un grande produttore di macchine utensili, non di sistemi tecnologici. Quindi siamo un componentista dentro i processi tecnologici. Siamo il punto finale della filiera, non il punto di partenza. Il tema 'saremo o no un paese che ha la sua tecnologia con cui competere' resta aperto, ma non è nelle corde e nelle scelte di politiche industriali fatte”.
“Esiste davvero la possibilità che uno dei grandi big dell’innovazione tecnologica venga da noi e ci regali la sua tecnologia?”, si chiede Camusso retoricamente. La risposta è no, non esistono doni. Dunque “il tema è: come ricostruiamo i punti di innovazione nel nostro Paese analoghi a quelli che hanno tutti gli altri? Il problema oggi è la ri-progettazione, la ricerca. Per rimettere in moto la capacità tecnologica devi fare ricerca, questo dovrebbe fare una nuova Iri. Devi ricostruire un sistema anche di ricerca pura che è stato spezzettato e frammentato. E con questo risolveremmo pure un pezzo di disoccupazione giovanile”, ha aggiunto Camusso.
“Occorre un’agenzia pubblica – insiste il leader Cgil –, che sia il luogo da cui governare gli incentivi e decidere quale tipo di tecnologia. Possiamo indirizzare l’innovazione, e porci anche il tema dei confini e dei limiti della tecnologia. La relazione – si chiede – è tra umani o tra umani e algoritmi? Io dico tra umani. E non cancello gli algoritmi, ma costruisco un algoritmo in cui le variabili umane siano presenti”. Ad esempio i turni di un lavoratore, seppure gestiti da una piattaforma digitale, devono essere compatibili con le norme contrattuali, a prescindere dalla condizione di lavoro subordinato o a tempo e flessibile. “Le regole del contratto le devi mettere nell’algoritmo”, scandisce Camusso, e “devi anche proteggere la privacy delle persone”. L’idea che la tecnologia sia inevitabile e ‘data’ è da “contrastare”. “Noi ci iscriviamo tra quelli che dicono che la tecnologia si può governare: le sue direzioni e la sua ricaduta”.