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Per Stefano Villani, sono due gli elementi che permetterebbero al Cae di conquistare un ruolo di maggior rilievo, nel sistema delle relazioni industriali. Il primo investe l’aspetto negoziale. Di fronte a un comitato in grado di elevare la contrattazione su un piano internazionale, le multinazionali smetterebbero di apparire dei giganti agli occhi dei singoli Stati. Per quanto riguarda il Cae della Ericsson, gli effetti dell’informazione e della consultazione si notano per lo più in ambito locale. Conoscere i dati reali su cui poggiano le tattiche aziendali aiuta sì a migliorare l’azione sindacale all’interno dei singoli siti, ma non scalfisce in alcun modo le decisioni che il gruppo prende a livello globale. Ecco, dunque, il limite.
La seconda questione riguarda la tutela dei delegati. “A oggi, è praticamente inesistente. Ciascun rappresentante del Cae gode della libertà e della sicurezza che derivano direttamente dalle legislazioni nazionali. Ma un conto è provenire da un contesto dove i diritti sindacali vengono rispettati, un altro è sapere di poter rischiare il posto per aver agito secondo coscienza”, spiega. Confrontarsi con colleghi di origini diverse non significa soltanto fare tesoro del multiculturalismo. Equivale anche a osservare i vari volti dell’Europa, i suoi chiaro-scuri. Prevedere un sostegno internazionale per i delegati del Cae, vuol dire costruire spazi di democrazia e di vera rappresentanza.
“Ci vorrebbe quasi una terza direttiva, per introdurre tutti questi cambiamenti”, afferma Villani, al quale non sfuggono alcune cattive tendenze. Sempre più spesso, la Ericsson si appella al vincolo di transnazionalità, evitando di informare il Cae, nel caso in cui le sue scelte ricadano ufficialmente su un solo Stato. Ci si ritrova in una situazione in cui l’azienda chiude uno stabilimento in un Paese, poi in un altro, e magari in un altro ancora, facendo apparire come azioni sganciate i singoli tratti di un unico disegno. “Dobbiamo opporci a questa lettura artificiosa della direttiva, stabilendo regole più chiare, non interpretabili. Servono Cae più battaglieri, composti da membri protetti dalla legge e sindacalizzati”. La formazione può aiutare? “Sì, purché sia mirata al ruolo che ricopriamo – conclude Villani –. Il nostro compito è rappresentare efficacemente i lavoratori, attraverso una preparazione adeguata”.
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Tag: Storie dai Cae