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Per la prima volta in molti anni, nella legge di stabilità 2017 si definiscono provvedimenti di politica industriale. Si affrontano problemi relativi all’innovazione industriale e si indicano strumenti finanziari che ne favoriscano lo sviluppo. Le misure di incentivazione della competitività con l’incremento della produttività vengono affrontate non in termini di riduzione di costi (scaricati frequentemente in riduzione del costo del lavoro), quanto di incentivazione agli investimenti in macchinari e in ricerca e sviluppo (quindi, sul lato del valore).
Il tutto con l’obiettivo dichiarato del mantenimento e dello sviluppo della competitività non solo dell’industria italiana, ma anche dell’agricoltura e dei servizi, in modo tale da migliorare il posizionamento internazionale, il miglioramento della catena del valore, la creazione di nuova occupazione qualificata. Le agevolazioni fiscali previste nella legge di stabilità dovrebbero fungere da volano e da acceleratore nei confronti delle dinamiche del mercato di sostituzione delle apparecchiature e del software e anche del mercato nuovo delle start-up e delle micro-imprese innovative.
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Non solo. Il testo di legge viene correlato con due allegati in cui si determinano le tecnologie hard e soft inerenti l’Indusria 4.0, che definiscono le condizioni per accedere alle agevolazioni. L’elenco appare coerente con gli obiettivi. La legge di stabilità 2017, in effetti, tende a valorizzare – con riferimento all’Industria 4.0 – i punti di forza dei produttori di attrezzature industriali e le aziende utilizzatrici (comprese le Pmi) nei processi di rinnovamento tecnologico e produttivo come nella meccanica strumentale, dove il nostro Paese mantiene una posizione competitiva che ci vede al quarto posto come produttori e al terzo come esportatori, così come è interessante rilevare le ricadute degli incentivi sulle cosiddette “tecnologie abilitanti” all’Industria 4.0 per l’insieme dell’apparato produttivo e per i servizi a esso correlato.
Il risultato economico atteso è che i provvedimenti fungono da volano a investimenti privati per 10 miliardi di euro nel periodo compreso tra gennaio 2017 e giugno 2018, mentre lo Stato ascrive a bilancio 2017 un costo di circa 700milioni. Più saranno gli investimenti privati più sarà la spesa pubblica dedicata. Questo provvedimento, di per sé positivo, non ci mette al riparo rispetto al mancato sviluppo provocato dall’eventuale scostamento rispetto ai 10 miliardi di investimenti attesi. In tal caso, la prevista crescita del Pil non si avrebbe e il provvedimento risulterebbe inefficace, in quanto le incentivazioni previste non avranno trovato accoglienza da parte delle imprese.
Una altro provvedimento contenuto nella legge consente all’Inail di investire in fondi chiusi di investimento dedicati alle start up innovative. Si tratta di un’operazione nuova: forse un preludio a un ruolo attivo di altri fondi (oltre Cassa depositi e prestiti). In un’ottica di necessario sostegno finanziario da parte del sistema creditizio, è un fatto positivo, ma se non è fatto all’interno di un disegno complessivo è esposto a forti rischi. Il ruolo della Cdp delineato non appare ancora chiaro nel suo funzionamento e nella sua efficacia, così come non lo è ancora nella definizione del ruolo.
Elementi di criticità. Al pari degli elementi positivi che non vanno sottaciuti, crediamo si debbano segnalare alcuni elementi di criticità, soprattutto riferiti ai punti di debolezza riscontrati nell’impianto del governo. Con il livello di competizione globale in corso, affidare l’aumento di competitività solamente a strumentazione orizzontale è al minimo riduttivo, in quanto si lasciano ai soli driver privati le scelte allocative degli investimenti.
Fermo restando il fatto che non pensiamo efficace un ruolo dirigista dello Stato sulla parte orizzontale, continuiamo a credere che il sistema uscirebbe ulteriormente rafforzato se si accompagnasse la manovra presentata in legge di bilancio anche da politiche verticali e intraprendenti da parte del pubblico. In questo senso assumere lo Stato come innovatore potrebbe recuperare la debolezza della domanda che caratterizza questa fase economica e integrare la debolezza determinata dalla scarsa presenza di investitori privati nel Paese. Certo, nell’orizzontalità non si lascia (almeno a parole) indietro nessuno, mentre la verticalità costringe a selezionare.
Insomma, le misure in favore dell’offerta industriale sono utili, ma mancano specifici provvedimenti a favore dello stimolo alla domanda. Nell’immediato potrebbero essere introdotte misure analoghe a vantaggio anche degli utilizzatori finali (consumatori), con la generazione di nuovi servizi ad alto impatto sociale (sanità, ambiente, valorizzazione e tutela del territorio) attraverso progetti di utilizzo di big data pubblici e privati attraverso l’uso di algoritmi predittivi, in modo da incentivare l’incremento generale della domanda e sostenere la crescita economica, inquadrando il tema anche in ottica business verso consumi (B2C).
Senza dimenticare il fatto che non si evincono strumenti, sia per la pubblica amministrazione centrale che per quella periferica, orientati a una domanda pubblica innovativa che trascini l’offerta. Progetti integrati che siano pilota e che vedano lo Stato compiere delle scelte anche di rischio, ma che, facendo delle esclusioni, producano accelerazioni in determinati settori.
Oltre a misure specifiche in Industria 4.0 sarebbe anche utile pensare a come incentivare investimenti in tecnologie agrifood, bio-based economy e di supporto all’ottimizzazione dei consumi energetici, in modo che l’Italia possa giocare una partita basata sul triangolo territorio-turismo-cultura/agricoltura-food/manifattura-eccellenza.
Poiché sicuramente le aziende avranno miglioramenti del conto economico, per effetto delle facilitazioni fiscali introdotte, è importante definire da subito gli strumenti e le modalità che il governo dovrebbe utilizzare per verificare gli obiettivi futuri di queste aziende, soprattutto in relazione all’assetto occupazionale, alla riqualificazione professionale e alle dinamiche salariali.
Si tratta in poche parole di avere un’analisi misurabile e quantificabile sugli impatti sociali, sulla qualità dell’ambiente, del territorio e delle città, che permettano la predisposizione di provvedimenti che riducano la polarizzazione in essere del nostro apparato produttivo, sospingendo parti significative delle imprese nella parte alta del modello di specializzazione . Il tema è sicuramente delicato, stante le precedenti esperienze che si sono verificate, e l’aver previsto esclusivamente delle perizie potrebbe non essere sufficiente.
A questo proposito, nell’incontro tra Cgil, Cisl e Uil con Carlo Calenda si registra positivamente, al di là del merito delle misure definite nella legge di stabilità, la disponibilità del ministro dello Sviluppo economico a discutere con il sindacato di politica industriale e la conferma dell’interesse del governo al pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nell’implementazione di Industria 4.0, come pure di analizzare gli impatti che le nuove tecnologie digitali potranno avere sull’ambiente, sul lavoro e sull’occupazione, per individuare le possibili soluzioni e innovazioni.
Analoga disponibilità è stata data per proseguire il confronto per la definizione di un nuovo Piano energetico nazionale finalizzato a ridurre strutturalmente i costi dell’energia nell’industria manifatturiera. Continuiamo a ritenere che tali disponibilità al confronto dovrebbero vedere coinvolte anche le istituzioni territoriali.
Per parte nostra, il livello ottimale, anche per il coordinamento delle risorse europee, è quello regionale, secondo modelli di partecipazione e di confronto già sperimentati in diverse realtà. In sintesi, le misure sembrano andare nella giusta direzione, anche se, avendo inquadrato la tematica prevalentemente in ottica business verso business (B2B), vanno meglio selezionale e monitorate.
Enrico Ceccotti è il coordinatore del Comitato scientifico di valutazione industriale promosso dalla Cgil