PHOTO
Castelnuovo Rangone è un Comune di appena 15.000 abitanti, in provincia di Modena, assurto agli onori della cronaca, anche nazionale, a causa di una lunga e dura vertenza sindacale di cui sono stati protagonisti i dipendenti di due cooperative, Ilia e Work Service, alle quali Castelfrigo, un’azienda specializzata nella lavorazione di carni suine, affida alcune parti del proprio ciclo lavorativo. Si tratta di circa 150 lavoratori, di varie nazionalità (prevalentemente centrafricani, albanesi e cinesi), assunti come soci lavoratori con contratto di facchinaggio, ma di fatto impegnati in attività che attengono al ciclo dell’industria alimentare.
Condizioni di lavoro durissime, turni massacranti, gravi irregolarità retributive e contributive e continue sopraffazioni; insomma, un lavoro quasi schiavistico, alla fine esploso in una lotta a oltranza, con momenti di grande tensione, ma con una conclusione positiva, grazie a un accordo che prevede tra l’altro il graduale passaggio del personale al contratto dell’industria alimentare. In tutto il corso della vertenza un ruolo di primo piano è stato svolto dalla Cgil di Modena e dal livello locale delle due categorie interessate, Filt e Flai, con il convinto e attivo supporto di tutta la Cgil regionale.
Una vertenza dai tanti risvolti emblematici. “L’accordo raggiunto è stato un successo straordinario –racconta Umberto Franciosi, segretario generale della Flai emiliano-romagnola –, ma sarebbe sbagliato dormire sugli allori. Sia perché ora l’accordo va gestito e non sarà semplice, sia perché questo caso è solo la punta di un iceberg: anche solo guardando al nostro territorio regionale ci sono tante altre situazioni simili, dal punto di vista dell’insopportabilità delle condizioni di lavoro, che possono esplodere da un momento all’altro”.
Un risultato, quello raggiunto alla Castelfrigo, che certamente può essere definito di “contrattazione inclusiva”. Quali sono stati, dal punto di vista sindacale, i fattori che hanno consentito un esito a tal punto positivo? “Intanto – risponde ancora Franciosi – bisogna sapere che c’è stata una lunga ‘semina’: per tanti anni ci siamo occupati di questi lavoratori, cercando di tutelarli, di seguire, quand’era possibile, il percorso della vertenza individuale, inoltrando segnalazioni e denunce alle autorità preposte. Fondamentale è stato anche costruire un rapporto positivo con le comunità degli stranieri e riuscire a farle dialogare e a non confliggere tra di loro”.
Senza dimenticare l’importanza di aver avuto nei momenti chiave della vertenza il sostegno di tutta la Cgil, compresi tanti operatori dei servizi, che hanno compreso l’emblematicità della lotta che si stava conducendo. “Ma ci sono soprattutto due fattori che hanno premiato – prosegue il segretario della Flai regionale –. Uno è quello della vicinanza fisica: la gran parte di questi lavoratori non è in condizione di fare grandi spostamenti, non ha l’auto e nemmeno la patente, quindi è stato fondamentale avere una nostra sede proprio lì, a poche centinaia di metri dal loro luogo di lavoro. Il secondo fattore è stato forse ancora più importante: siamo riusciti a lavorare in squadra, con un forte ruolo della confederazione”.
Le due categorie direttamente interessate, Filt e Flai, non hanno guardato al loro ristretto “orticello”, dando priorità assoluta alla risposta da dare a quei lavoratori. “Non era così scontato: spostare i lavoratori da un contratto nazionale all’altro, che era l’obiettivo centrale della vertenza, significa anche spostare tesserati da un sindacato di categoria all’altro, con la potenziale competizione che questo comporta. Gli iscritti portano risorse e con più risorse si lavora meglio, perciò se i funzionari di categoria si fossero fermati a un semplice calcolo di bottega le cose sarebbero andate diversamente. Ma non è andata così e abbiamo dimostrato che qualche parziale cessione di sovranità da parte delle singole categorie può migliorare l’efficacia complessiva dell’azione sindacale”.
Insomma: territorializzazione e confederalità, sono due temi che interrogano nel profondo il modello organizzativo del sindacato e che se in questo caso sono stati fattori di successo, in tanti altri – quando sono assenti o insufficienti – possono rappresentare un ostacolo a esercitare davvero quell’inclusività della tutela e dell’esercizio contrattuale che costituisce (ormai da tempo) un obiettivo chiave della Cgil.