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Le donne in Italia continuano a incontrare “notevoli difficoltà” nell'accesso ai servizi d'interruzione di gravidanza, nonostante quanto previsto dalla legge 194 sull'aborto. L'Italia viola quindi il loro diritto alla salute. Lo ha affermato il Consiglio d'Europa, pronunciandosi su un ricorso presentato dalla Cgil. In particolare, il nostro Paese discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l'obiezione di coscienza in materia di aborto, vittime di "diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti".
A tre anni di distanza dal Reclamo collettivo (n. 91 del 2013) da parte della Cgil, la decisione di merito è stata finalmente resa pubblica dopo il lungo periodo di embargo. È stata anche accertata la violazione dei diritti dei medici non obiettori di coscienza, a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza e della disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni, che dunque affrontano un insieme di svantaggi sul posto di lavoro sia diretti sia indiretti, in termini di carico di lavoro e prospettive di carriera. La sentenza risale al 12 ottobre 2015, ma è stato possibile renderla nota soltanto oggi alla scadenza dell'embargo che poteva essere interrotto soltanto dal governo italiano, cosa che purtroppo non è avvenuta.
“Una sentenza importante – commenta il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso – perché ribadisce l'obbligo della corretta applicazione della legge 194, che non può restare soltanto sulla carta. Il sistema sanitario nazionale deve poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando che la legittima richiesta della donna rischi di essere inascoltata. Questa decisione del Consiglio d’Europa riconferma che lo Stato deve essere garante del diritto all'interruzione di gravidanza libero e gratuito affinché le donne possano scegliere liberamente di diventare madri e senza discriminazioni, a seconda delle condizioni personali di ognuna”.
La legge 194/1978, infatti, prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale e le Regioni debbano sempre garantire il diritto di accesso all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato e crescente numero, come dimostrano i dati forniti dalla Cgil nell’ambito del giudizio davanti al Comitato Europeo, di medici obiettori, molte strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico un numero adeguato di medici che possono garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge.
Il riconoscimento di queste violazioni, a distanza di ormai due anni dalla prima condanna del Comitato Europeo nei confronti dell’Italia (decisione dell’8 marzo 2014 sul Reclamo collettivo n. 87 del 2012 presentato dall’organizzazione internazionale non governativa International Planned Parenthood Federation European Network), è una vittoria per le donne e per i medici, ma anche per l’Italia: essa costituisce un’importante occasione affinché si prenda finalmente coscienza dei problemi concreti di applicazione della disciplina (definita dalla Corte costituzionale quale regolamentazione irrinunciabile), finora del tutto disconosciuti dal ministero della Salute. La Cgil è stata assistita dagli avvocati Marilisa D’Amico (ordinario di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano) e Benedetta Liberali, ed ha avuto il sostegno della Confederazione europea dei sindacati.
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VIDEO/ La storia di un medico non obiettore