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L'Italia è formalmente sotto processo a Strasburgo, con l'accusa di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto e dei comuni vicini dagli effetti delle emissioni dell'Ilva. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha infatti comunicato allo Stato Italiano che i ricorsi presentati da Franco Cordella e Lina Ambrogi Melle, insieme ad altri 180 cittadini, quasi tutti di Taranto o zone vicine, sono stati accolti.
Le denunce erano state presentate tra il 2013 e il 2015. Alcuni cittadini rappresentano i congiunti deceduti, altri i figli minori malati, altri hanno certificato di soffrire di gravi patologie, le cui cause potrebbero essere connesse all'inquinamento prodotto dallo stabilimento siderurgico di Taranto. Nel ricorso, sostengono che "lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l'ambiente e la loro salute" e contestano al governo il fatto di aver autorizzato la continuazione delle attività del polo siderurgico attraverso i cosiddetti decreti 'salva Ilva'.
"I richiedenti - si legge nel documento, comunicato all'Italia il 27 aprile - lamentano che lo Stato ha mancato di adottare tutte le misure giuridiche, regolamentari e di informazione della popolazione miranti a proteggere l'ambiente e la loro salute, in particolare alla luce degli elementi risultanti" da diversi rapporti, tra cui i rapporti 'Sentieri' dell'Istituto Superiore della Sanità. "In più - continua il documento - attraverso i decreti salva Ilva, il governo ha autorizzato la continuazione dell'attività della fabbrica.
Richiamandosi agli articoli 2 e 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo, poi, denunciano che il loro diritto alla vita e alla vita privata sono stati violati. Sulla base dell'articolo 13 della Convenzione, lamentano inoltre di non poter beneficiare di un ricorso efficace per sollevare queste accuse sul piano interno". Con la trasmissione la Corte informa lo Stato Italiano dell'esistenza del ricorso e invita lo stesso a presentare osservazioni scritte.
Alla luce di tutto ciò, secondo Maurizio Marcelli, responsabile del dipartimento salute e sicurezza del lavoro della Fiom Cgil, “l'Ilva diventa ancora di più una sfida per il governo, per l'industria e per il sindacato italiano. Perché dobbiamo continuare a difendere l'esistenza dell'industria siderurgica italiana a Taranto, dato che oggi ci può essere una siderurgia che non inquina e molti esempi in diversi paesi corroborano questa possibilità”.
In ogni caso, fa notare ancora Marcelli “i dati sui quali si basa la decisione della Corte europea sono vecchi di cinque anni. Molto si è fatto da allora per risolvere la situazione, sopratutto da quando i Riva sono stati cacciati dallo stabilimento. Con i commissari ci siamo impegnati a realizzare interventi di modifica di alcuni parti degli impianti che erano i più dannosi per i lavoratori e i cittadini. Eppure moltissimo resta ancora da fare. Ma non si può certo chiudere lo stabilimento, perché senza l'Ilva, Taranto e la siderurgia italiana andrebbero a carte quarantotto”.
La notizia del procedimento della Corte europea, tra l'altro, è arrivata proprio all'indomani dell'inizio del maxi processo all'Ilva presso la Corte d'Assise del tribunale di Taranto. 47 imputati (44 persone fisiche e le tre società Riva Fire, Ilva e Riva Forni Elettrici) sono coinvolte nell'inchiesta che quattro anni fa, nel luglio del 2012, portò al sequestro dello stabilimento siderurgico. Tra i rinviati a giudizio ci sono proprio i fratelli Nicola e Fabio Riva, figli di Emilio (morto il 30 aprile 2014), ex amministratori dell'Ilva, accusati insieme all'ex responsabile delle relazioni esterne Girolamo Archinà, all'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, al consulente legale dell'azienda Francesco Perli e a cinque fiduciari, di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari e all'omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Tra gli imputati figurano anche il prefetto Bruno Ferrante, ex presidente dell'Ilva, l'ex presidente della Provincia Gianni Florido, l'ex direttore di Arpa Puglia Giorgio Assennato, funzionari ministeriali e regionali, fra i quali l'ex capo della segreteria tecnica del ministero dell’Ambiente, ex dirigenti e funzionari dell'Ilva e il deputato di Sel ed ex assessore regionale Nicola Fratoianni.