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“Un evento tragico, in cui alla perdita di vite umane, alle distruzioni del patrimonio civile, si sono aggiunti i danni patiti dalle attività produttive: nel cratere, si è ricordato più volte, veniva prodotto il 2 per cento del Pil nazionale. Migliaia le imprese industriali e agricole danneggiate, i capannoni crollati. Per il lavoro, una ferita profonda”.
In occasione del secondo anniversario del sisma che nel 2012 – con due violente scosse, il 20 e il 29 maggio – ha sconvolto la vita dell’Emilia-Romagna, proviamo a fare un bilancio con alcuni dirigenti locali della Cgil sui risultati sin qui ottenuti nella ricostruzione, a partire dall’industria, e le criticità ancora presenti. Come si vede, Tania Scacchetti, segretaria generale della Camera del lavoro di Modena, ci porta subito al cuore del problema: l’intreccio inestricabile fra i danni alle persone e quelli alle imprese, il carico di una sofferenza che, se così si può dire, non ha fatto distinzione tra cittadino e lavoratore.
“I danni provocati dal terremoto – continua – si sono aggiunti poi, è questo è un dato da non dimenticare, ai colpi che il nostro territorio aveva già ricevuto dalla crisi”. Senza rimuovere un punto: il fatto che sia stata ferita per la prima volta un’area a forte immigrazione. “C’era da noi una comunità composta da cinesi, pakistani, magrebini, persone venute dall’Europa dell’est. Tutti soggetti che davano un contributo alla nostra economia. Bene, le badanti dell’est, che hanno un progetto migratorio a breve, sono andate via in massa. Quanto alle altre comunità, sono rimasti perlopiù gli uomini, che hanno fatto ritornare in patria i familiari”.
Il terremoto industriale
Il sisma come moltiplicatore della crisi, dunque. Un’accelerazione che ha avuto i suoi effetti più evidenti sulle piccole aziende: la scarsa patrimonializzazione, e poi gli altri limiti tipici di questo genere d’imprese, hanno reso molto più complicato, spesso impedito, il ritorno a una normale attività. Per le grandi, invece, è avvenuto in qualche modo l’impensabile: in un paese in cui il vento della delocalizzazione soffia forte e da tempo, nonostante il terremoto – che poteva essere un motivo ulteriore per trasferirsi altrove –, queste, grazie anche alle buone relazioni sindacali, hanno fatto la scelta di restare.
“Eravamo molto preoccupati – racconta Erminio Veronesi, Cgil di Modena, coordinatore dell’area nord con delega sulla ricostruzione (terremotato anche lui, fra parentesi) –. Abbiamo detto: siamo disponibili alla flessibilità di cui c’è bisogno, però dovete rimanere qui, garantendo i posti di lavoro. È andata bene. Ma non è stato semplice: la strada che porta in fabbrica, per tanti, è diventata lunga e faticosa”.
“Penso alla mia azienda, la Wam, una ‘multinazionale tascabile’ leader nella produzione di coclee, trasporto e filtraggio delle polveri, settecento dipendenti al momento del sisma – prosegue –: l’assemblea sotto il sole, tutti d’accordo con l’intesa raggiunta. Dopo quindici giorni una pioggia di sms: ‘basta, non ce la facciamo più’. Tra andata e ritorno, stare fuori dalle 6 del mattino alle 8 di sera, causa lo spostamento degli impianti da Ponte Motta di Cavezzo a Formigine, non era certo la cosa più desiderabile. Ma l’azienda è stata collaborativa, abbiamo raffinato l’accordo, ora va meglio. Lo stesso discorso si può fare per la Titan di Finale Emilia, per venire a un altro caso. Poi siamo riusciti a siglare accordi anche nelle piccole imprese”.
Un’altra realtà subito ripartita è la Cps Color, da aprile Corob spa, multinazionale finlandese – controllata dal fondo svedese Nordic Capital –, macchine automatiche per l’industria delle vernici, circa centotrenta dipendenti. A parlarcene è Barbara Anconelli, responsabile dell’ufficio documentazione, Rsu Fiom, come Veronesi costretta anche lei dal sisma a lasciare casa: “Il terremoto aveva danneggiato fortemente il capannone – racconta –, hanno messo su delle tensostrutture, spostato le linee, si è ripreso a lavorare”. Ma non avevate paura? chiedo. “No, ha vinto la voglia di ricominciare, l’etica del lavoro che è tipica di questa terra”.
La ripresa dell’attività, nel caso della ex Cps, è stata favorita da due ragioni. La prima è che l’azienda era assicurata, come altre fra le più importanti – una sorpresa per tutti, anche per Confindustria –, quindi ha potuto contare per le urgenze immediate su risorse aggiuntive. La seconda, le opportunità logistiche. “Abbiamo avuto la fortuna del grande spazio. Spostare la fabbrica è stato relativamente facile. Nel giro di quindici giorni siamo tornati a produrre. Dopo si è iniziato a ricostruire. E a novembre dello scorso anno è stato inaugurato il capannone nuovo: che ovviamente rispetta al cento per cento la normativa antisismica”. “Resta da rifare, ora, la palazzina del reparto prove e prototipi. La pratica Sfinge (il sistema per l’accesso ai contributi e ai finanziamenti agevolati per le imprese, ndr) sarà presentata prevedibilmente a settembre”.
“Va ricordato anche, scusa se ti anticipo – fa Veronesi alla Anconelli –, che quella di Barbara è una delle aziende, per così dire, ‘tra crisi e terremoto’. Volevano trasferirsi in India. Li abbiamo convinti a rimanere, e nel 2013 abbiamo firmato il primo contratto di solidarietà”.
“Sì – riprende la delegata Fiom –, le finanze non andavano bene. Il comparto coloranti, che non è qui in Italia, compensava le perdite del nostro sito. Adesso, a due anni dal sisma, iniziamo un pochino a riprenderci, cominciamo ad acquisire un po’ di ordini. Ora bisogna capire quanto vogliano resistere in Italia. La fortuna è che da noi lo skill industriale non è quello che possono trovare in Asia. Ma lo spauracchio dell’abbandono rimane. I costi sono alti, non c’è fiscalità di vantaggio. Alle aziende è stato concesso solo di rimandare, anche con un po’ di cardiopalma. Ma alla fine qui le tasse sono state sempre pagate”.
C’è una punta polemica, nelle parole di Anconelli, che riporta alla questione, antica, delle agevolazioni per le imprese. Dopo il sisma si era parlato anche di no tax area, proposta che la Cgil non ha mai condiviso. “No – riprende Scacchetti –, sarebbe stato un errore. Noi abbiamo spinto sui risarcimenti e i contributi. Certo, il sistema è lento, si è creata una discrasia tra le multinazionali coperte dalle assicurazioni e le aziende che invece su questo non hanno potuto contare. Ma bisogna ricordare anche, a proposito della lentezza, che siamo partiti dal nulla”.
“Mi chiedi perché dovrebbero rimanere, allora. Ma perché disponiamo innanzitutto di un know how che altri non hanno, come ricordava Barbara; e perché abbiamo un sistema territoriale che funziona, a cominciare dalla formazione”.
La questione sicurezza
Non molto diversa la testimonianza di Riccardo Grazzi, della segreteria della Cgil di Ferrara, che però ci permette un’incursione su un tema, la sicurezza del lavoro, non proprio irrilevante.
“Anche per noi il primo compito è stato affrontare il terremoto industriale. Abbiamo utilizzato gli ammortizzatori sociali e conquistato accordi capaci di sopperire alle lentezze burocratiche. Ora la ricostruzione industriale è a buon punto. La Ceramica Sant’Agostino, crollata per due terzi, si è ripresa bene; l’Ursa, multinazionale spagnola, ha deciso di rimanere; la Tecopress, ancora, che è vittima un po’ di se stessa, ma ha ricevuto un danno importante, è un caso di mutazione da cigo per sisma a contratto di solidarietà, contratto siglato da pochi giorni. Poi ci sono anche quelli che hanno mollato, che non si sono più risollevati, che hanno chiuso, mischiando sisma e crisi preesistente. Ma nel complesso abbiamo tenuto”.
“Insieme – continua Grazzi passando al secondo punto del suo ragionamento –, subito dopo il terremoto abbiamo formato aule con i nostri Rls e alcuni specialisti sulla prevenzione antisismica nelle aziende. Organizzando in seguito un secondo ciclo per coloro che lavorano nelle realtà in ristrutturazione: questo per prevenire gli infortuni. Infine, più di recente, abbiamo attivato alcuni sopralluoghi con gli Rlst per verificare quali condizioni ci siano nelle micro imprese, e chiedendo alle associazioni datoriali di darcene conto: per capire cosa accade nel lavoro e nel rapporto tra imprese, ambiente e territorio”.
“C’interesserebbe anche – conclude – un censimento dell’amianto. Nessuno ti dice che sei fuori di testa, quando ne parli; ma dopo troviamo sempre grande imbarazzo. Non siamo andati al di là delle buone intenzioni. L’ipotesi è di estendere le prassi positive di Rubiera, nel reggiano, luogo come sai di uno dei disastri dell’Eternit, dove la ricognizione è stata molto accurata, ricorrendo anche alle foto aree”.
Decisione e partecipazione
Siamo partiti dal nulla, diceva Scacchetti. Già, il nulla. Perché la cosa straordinaria è che in un paese come il nostro – dove la natura, quando decide di essere matrigna, trova negli uomini sempre grande complicità –, non esiste ancora una legge sulle calamità naturali. Quello che si sta sperimentando nella regione è stato indicato da più parti come un vero e proprio modello per una normativa nazionale. Cosa ne pensa la Cgil?
“L’impianto complessivo di ordinanze dell’Emilia-Romagna ha fatto sistema, non c’è dubbio – afferma la segretaria di Modena –. Ora ne stiamo misurando anche le criticità: il problema è come rendere più fluida la ricostruzione, come offrire più certezze senza indebolire i controlli”.
“Su questo tema – osserva Veronesi – si confrontano in generale due linee di pensiero: se i controlli debbano essere eseguiti ex ante o ex post. Credo che la legge, se ci sarà, dovrà dare più fiducia al cittadino”. Pensando anche alla dotazione degli uffici tecnici. “Sono inadeguati, dispongono di poco personale – dice in proposito Anconelli –. Non c’è rete, e questo danneggia sia i cittadini che le aziende, creando il rischio di trattamenti difformi, di ledere in tal modo i diritti”.
“Abbiamo segnalato per tempo la necessità di fare rete – interviene Scacchetti –. Così come l’insufficienza del personale. Gli uffici tecnici, oggi, sono un imbuto. Ma, ripeto, non è stato semplice”. “Vale la pena però ricordare, visto che siamo in sede di bilancio, la velocità con cui si è messo mano a scuole e ospedali, il fatto che questi servizi non siano mai venuti meno – aggiunge toccando un tema di grande rilievo –. In una regione in cui istruzione e sanità, così come tutto il welfare, sono tradizionalmente di livello, è stato un segnale decisivo”.
Altrettanto importante, per le comunità colpite dal sisma, la ricostruzione dei centri storici, il recupero dei beni culturali. Come intervenire? Ricostruire non solo “dov’era” ma anche “com’era”, per usare lo slogan di Italia Nostra? “La discussione andrebbe fatta caso per caso” sostiene Scacchetti. Perché le problematiche relative al centro storico di Ferrara sono senza dubbio diverse da quelle dei comuni del cratere modenese. “Siamo sicuri che tutto debba rimanere come prima? Penso a tanti edifici scolastici, a casermoni che non vale la pena rimettere in piedi, ma anche alle piazze, a come oggi sono vissute”, prosegue la segretaria.
Una questione delicata, insomma, che rimanda alla storia e alle radici delle comunità locali. Aver detto di no alle new town, aver optato per il “dov’era” è stato decisivo. Ma il come ricostruire, ora, lì dove sono in gioco risorse simboliche essenziali per una comunità, fa discutere. “L’importante – conclude con semplicità Scacchetti – è che le decisioni siano partecipate”.
Ed è proprio quest’ultimo, il nodo della partecipazione, quello su cui si gioca in buona parte il futuro delle aree colpite. Perché sarà la qualità delle relazioni tra cittadini, rappresentanze vecchie e nuove e istituzioni che deciderà in buona parte del domani. La Cgil, inutile dirlo, la sua parte l’ha fatta: nei campi prima, nel dare voce alle urgenze, nella mediazione anche dei conflitti, e adesso nella ricostruzione. Un ruolo importante, poi, lo svolgono i comitati, lamentando più di altri lentezze e farraginosità.
Barbara Anconelli, che oltre a militare nella Fiom è anche in Sisma.12, l’organismo che fa un po’ da capofila dei comitati, racconta del lavoro nelle tendopoli e degli incontri sulle ordinanze, della richiesta di sospendere i mutui sulle case inagibili, delle molte difficoltà non solo con gli interlocutori istituzionali ma anche con le associazioni di categoria. Di una voglia di partecipare, insomma, che testimonia l’emergere, sulla scena sociale e politica, di energie nuove per il futuro della regione; che affiancano quella rivitalizzazione delle figure istituzionali più vicine alle popolazioni, i sindaci, che è sicuramente tra i fatti positivi di questi due anni. “Nell’area nord – osserva Veronesi, le stesse parole le usa Grazzi per la provincia di Ferrara –, alle recenti amministrative, ci sono sindaci che hanno toccato percentuali bulgare, addirittura dell’80 per cento. Significherà qualcosa, no?”.
Il Piano del lavoro
“Mi assentai per sette giorni per recuperare le energie, ospitata a Sondrio con la mia famiglia. Al mio rientro al campo Massimo era in ospedale, di lui non so più nulla. La signora esile con il grembiulino sempre indosso era stata trasferita con il marito in montagna come tante altre coppie. Notavo che la situazione stava migliorando. Le persone che soggiornavano al campo, pian piano, rientravano nelle proprie case. E il campo si svuotava, come un po’ il mio cuore. Non so perché, ma mi dispiaceva tanto. Lo so, era assurdo, ma mi piaceva tanto il senso di grandissima famiglia in cui vivevamo”. Prima di lasciare la Camera del lavoro di Modena, nell’afa della giornata che precede il 29 maggio, anniversario della seconda scossa e di una paura più grande – “Era tornato, ci chiedevamo cosa stesse accadendo” rammenta Tania Scacchetti –, Federica Pinelli, che cura l’ufficio stampa, mi passa una testimonianza scritta: è di Cecilia Zanini, infermiera all’ospedale di Mirandola. È il racconto della sua personale esperienza, del tempo rubato a sé e alla famiglia per portare aiuto in una tendopoli. Un tempo speciale, eroico si potrebbe dire se la parola non soffrisse di troppi sovraccarichi. Dopo l’emergenza, al tempo della ricostruzione quest’aggettivo non si addice: i rapporti tra le persone rientrano nella normalità. A salvare la verità del campo, la vicinanza che lì si è scoperta, sarà la qualità del lavoro oggi in corso.
“Ma anche di ciò che accadrà dopo, del futuro modello di sviluppo della nostra regione – commenta in conclusione Giuliano Guietti, ex segretario generale della Cgil di Ferrara, oggi nell’Ires Emilia-Romagna –. Salvaguardia del territorio, a partire dal risanamento idrogeologico, e beni culturali sono questioni che vanno oltre il sisma. E sono due dei temi centrali del nostro Piano del lavoro. Significano investimenti e occupazione qualificata, valorizzazione di competenze che qui certo non mancano. Bisogna crederci”.