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“Le persone che formano la Troika hanno avuto mandato dalle persone elette democraticamente”. Queste le parole di un giornalista tedesco in un confronto televisivo alla vigilia delle elezioni tenutesi in Grecia lo scorso 25 gennaio (La7, Otto e Mezzo, 24 gennaio 2014). Affermare che i funzionari appartenenti alle tre istituzioni che compongono la Troika – Commissione Ue, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – hanno ricevuto legittima investitura dai governi degli Stati membri per i poteri esercitati nella gestione della crisi del debito nell’Eurozona, non solo fa trapelare un’idea bizzarra di legittimazione democratica, ma trasmette – colpevolmente – al pubblico messaggi confusi sul quadro istituzionale dell’Unione europea e sulle scelte relative alla gestione della crisi.
Sembra quindi dovuto qualche chiarimento sul fenomeno dell’anomala intromissione della Troika tra gli organi di governo dell’Unione europea. Innanzitutto, è utile ricordare che la struttura istituzionale dell’Ue è delineata molto nettamente dall’articolo 13.1 del Trattato sull’Unione Europea (TUE): “Parlamento europeo, Consiglio europeo, Consiglio, Commissione europea, Corte di Giustizia, Banca centrale europea, Corte dei Conti”. L’eventuale legittima introduzione nell’organizzazione dell’Unione di una nuova istituzione, o il conferimento di nuovi poteri a quelle già esistenti, imporrebbe l’accordo degli Stati, ovvero una modifica del Trattato, o almeno un protocollo a latere.
Questo è difatti avvenuto per il Consiglio europeo, la Banca centrale europea e la Corte dei Conti, promosse tra le “istituzioni dell’Unione” solo con il Trattato di Lisbona, a seguito di formali e spesso articolate negoziazioni nelle sedi intergovernative. Non solo. Il richiamo a un fondamento “democratico” del mandato conferito, se già molto dissonante in riferimento alla Troika, non suona del tutto intonato neanche per le istituzioni ufficiali formalizzate nel Trattato Ue. Tra queste, infatti, soltanto il Parlamento europeo può dirsi pienamente e direttamente legittimato sul piano del demos, le altre – Consiglio europeo, Consiglio, Commissione, Banca centrale europea – si fondano su di una legittimazione indiretta, tutta di natura governativa.
Se tale assetto, connotato da una cronica fragilità dell’organo rappresentativo, non avesse posto un persistente problema di deficit di democrazia, non si potrebbero cogliere né il senso, né le motivazioni, né l’impegno profuso nel progetto del costituzionalismo europeo – inaugurato con la Dichiarazione sul futuro dell’Europa adottata nel Consiglio Europeo di Laeken del 15 dicembre 2001 – che nonostante il percorso impervio e la necessità di adeguarsi ad una logica di second best, è riuscito ad approdare, con il Trattato di Lisbona, a qualche risultato che avvia la democratizzazione della forma di governo dell’Unione (C. De Fiores).
Per tornare al giornalista tedesco e alla sua fuorviante affermazione, occorre indicare qual è stata la sequenza che ha effettivamente dato vita alla Troika. I passaggi cruciali sono cinque: 1) la Dichiarazione relativa alla Grecia con cui i Capi di Stato e di governo della zona euro annunciano di essere pronti a contribuire con “prestiti bilaterale coordinati” rientranti in un pacchetto di finanziamenti a cui partecipano anche l’FMI e l’Ue, del 25 marzo 2010; 2) la richiesta avanzata dalla Grecia al Presidente dell’Eurogruppo, alla Commissione e alla Bce per l’attivazione di un meccanismo di sostegno finanziario, del 23 aprile 2010; 3) la risposta alla Grecia contenuta nella Dichiarazione congiunta della Commissione, della Bce e della Presidenza dell’Eurogruppo, del 23 aprile 2010, in cui le tre istituzioni sanciscono l’entrata del Fondo Monetario Internazionale nelle procedure di sostegno finanziario, 4) l’accordo tra Eurozona e FMI per il supporto finanziario alla Grecia, del 2 maggio 2010, 5) la valutazione della Bce sul programma di aggiustamento economico e finanziario della Grecia, del 2 maggio 2010. Tra questi, due sono i provvedimenti che rendono evidente l’anomalia del fenomeno: l’entrata sulla scena europea dell’FMI e la valutazione della Bce sugli aggiustamenti economici e finanziari attuati dal governo greco che, spinta sino all’ambito delle riforme strutturali, va ben oltre il mandato del banchiere centrale europeo (cfr. E. Paparella).
Dal 25 marzo 2010 opera, quindi, nell’Eurozona tale organismo formato da due “istituzioni dell’Unione” e da un’organizzazione internazionale. Le sue funzioni non sono specificamente disciplinate e gli unici riferimenti che ne costituirebbero l’esile base giuridica – relativi alle modalità di interazione tra Commissione, Bce e FMI – sono contenuti nel Regolamento (UE) 472/2013 e nel Trattato sul Meccanismo europeo di stabilità. Come si vede, l’FMI è chiamato in causa nelle procedure di valutazione, negoziazione, erogazione del sostegno, monitoraggio sul rispetto delle condizioni di prestito (artt. 3.9., 6.1., 7.1.-4., Reg (UE) 472/2013, Sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria; 8° e 13° Considerando Trattato MES, art. 13.3-7. Trattato MES), ma non è formalizzato in alcun modo il ruolo della Troika come “struttura” per la negoziazione tra i finanziatori ufficiali e i governi dei paesi beneficiari dei prestiti.
Peraltro nessuna di tali disposizioni fa chiarezza sulla natura giuridica degli atti prodotti dalla Troika, in particolare dei Memorandum of Understanding relativi alle condizioni di prestito. Non è stato chiarito se si tratti di atti riconducibili al diritto dell’Unione o se abbiano natura giuridica di diritto internazionale. Questo ha dato origine a considerevoli effetti, si pensi, al caso del Consiglio di Stato greco che chiamato a decidere della legittimità costituzionale della legislazione emanata in conformità al Memorandum of Understanding – firmato dal governo greco, dagli Stati della zona euro e dall’FMI e ratificato con la legge n.3845/2010 – ha fatto leva proprio sull’incerta natura giuridica del Memorandum per rigettare la questione di costituzionalità, eliminando ogni possibile ostacolo all’attuazione delle misure di austerità. I giudici greci hanno motivato dichiarando che la legislazione impugnata non violava le norme costituzionali (art. 28.2 Cost.) che impongono una maggioranza in Parlamento dei tre quinti per la ratifica di trattati internazionali, non avendo il Memorandum natura di atto internazionale, ma essendo essenzialmente “un mero programma di natura governativa” (Council of State Decision 668/2012, on the constitutionality of the “Memorandum“).
Quindi, per tentare di sciogliere qualche nodo, si potrebbe provare a parafrasare le parole del giornalista tedesco utilizzando la voce del Parlamento europeo: “L’Eurogruppo conferisce un mandato alla Commissione europea affinché questa negozi a suo nome i dettagli delle condizioni cui l’assistenza finanziaria è subordinata (…) la legittimazione della Troika a livello nazionale discenderebbe quindi dalla responsabilità politica dei membri dell’Eurogruppo e dell’Ecofin dinanzi ai rispettivi Parlamenti nazionali” (PE, “Indagine sul ruolo e sulle attività della Troika (BCE, Commissione e FMI) relativamente ai paesi dell’area dell’euro oggetto di programmi", 2013/22777(INI), Relazione del 28/02/2014). Sfortunatamente, anche in questa prospettiva il problema della legittimazione della Troika sembra rimanere aperto. L’Eurogruppo non è, infatti, un’istituzione ufficiale dell’Unione europea e non ha obblighi di rendicontazione quando assume competenze esecutive a livello dell’Unione, e ammesso che la Commissione possa usufruire di un suo mandato, che ne sarebbe degli altri due componenti della Troika, Bce e FMI?
La citata indagine conoscitiva del Parlamento europeo non fornisce tutte le risposte, ma moltissimi sono i punti critici evidenziati. Tra questi: l’insufficiente trasparenza dei negoziati, il ruolo carente dei Parlamenti, l’azione dell’FMI che non ha tenuto conto delle obiezioni del Consiglio sulla distribuzione dei benefici e degli oneri derivanti dal primo programma greco, il concetto di solvibilità impiegato dalla Bce in assenza di trasparenza e prevedibilità, l’esonero per i Paesi beneficiari dei prestiti, dalle procedure di rendicontazione del Semestre europeo, compresa la rendicontazione nel quadro degli obiettivi di lotta alla povertà e inclusione sociale, il mancato ancoraggio dei programmi di aggiustamento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, le irrisolte e non pubblicizzate divergenze tra FMI e Commissione sull’alternativa tra politiche salariali restrittive e politiche di risanamento dei bilanci (PE, “Indagine", cit., Considerando L e T, punti 18 – 26 – 31 – 32 – 44).
Le repliche della Commissione (Follow up to the European Parliament Resolution 2013/2277/(INI), 25 giugno 2014) alle due risoluzioni del Parlamento europeo (13 marzo 2014, 239-240) seguite all’indagine, non sembrano contribuire a rilevanti progressi, basti osservare con quanta fermezza la Commissione si è opposta alla richiesta del PE di rendere opzionali gli interventi dell’FMI: “(…) l’opinione di tutti i partners della Troika è che questa abbia operato bene ed in modo efficace in circostanze difficili, e che le istituzioni interessate debbano continuare il loro comune lavoro nel prossimo futuro. Nell’opinione della Commissione, l’idea di una possibile uscita dell’FMI durante i programmi in corso avrebbe serie conseguenze, tra le quali quella di inviare un segnale negativo ai mercati”.
E’ appena un po’ sconcertante che a livello dell’Unione solo il Parlamento europeo – l’unico organo che gode di piena legittimazione democratica – abbia sollevato una voce di contrasto, sia pure moderato e comunque poco efficace, nei confronti dell’operato della Troika, e non si può non notare come i nuovi eurodeputati eletti alle ultime elezioni di giugno 2014 (cfr. G. Grasso. R. Calvano) non abbiano dato seguito su questi temi agli interventi dei loro predecessori.
Eppure, proprio i Parlamenti – europeo e nazionali – dovrebbero essere una delle sedi privilegiate per coltivare e rinnovare la fiducia nelle istituzioni europee e per alimentare l’idea di una nuova possibilità di convivenza tra gli Stati e tra i cittadini europei, da nord a sud, da est a ovest, e viceversa.
* Ricercatrice in istituzioni di diritto pubblico alla Sapienza Università di Roma