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Colin Crouch, sociologo insigne, tra i massimi esperti di relazioni industriali, è un grande conoscitore dell’Italia. Lo intervistiamo dalla sua casa in Umbria, postazione dalla quale, ovviamente, non gli è affatto sfuggita la polemica lanciata da Mario Monti sulla concertazione. "Monti segue l’ortodossia regnante nel nostro periodo – spiega lo studioso, oggi professore emerito alla Business School della Università di Warwick –. Benché la crisi persista e nonostante il pasticcio a cui il neoliberalismo ci ha condotto, le idee contenute in questa ortodossia continuano loro egemonia. È un peccato, perché in altri ambiti, come la lotta contro l’evasione fiscale, Monti ha introdotto novità importanti nella vita pubblica italiana, novità che potrebbero segnare l’inizio di un nuovo patto basato sulla fiducia reciproca tra popolo e classe politica. L’Italia ne ha bisogno. Purtroppo però la dichiarazione di guerra alla concertazione annulla questo vantaggio. Senza fiducia e riconoscimenti, lavoratori e sindacati non possono muoversi al di là di una lotta difensiva, per esempio sull’articolo 18. Secondo me è importante che l’Italia adotti politiche di lavoro più positive e flessibili, ma se la scelta è tra un mercato di lavoro senza regolazione e il modello tradizionale, cosa altro possono fare i sindacati se non difendere quest’ultimo?".
Rassegna Qualche anno fa lei ha scritto un volume molto importante, Relazioni industriali nella storia politica europea (Ediesse, 1996). Cosa è cambiato nel frattempo nei rapporti tra sindacati, imprese e governi?
Crouch È cambiato molto. Dappertutto si registra un declino del numero degli iscritti ai sindacati, con un ruolo sempre più forte riservato a un capitalismo che però diventa meno responsabile, come si è visto chiaramente nel comportamento delle banche, particolarmente in Regno Unito, Stati Uniti, Spagna e Irlanda. Tuttavia, nei paesi nordici e nell’Austria i sindacati giocano ancora un ruolo importante nella gestione del mercato del lavoro e con risultati positivi. Questo, per certi settori e particolarmente nella grande industria, accade anche in Germania. Altrove in Europa, nei paesi meridionali e orientali, nel Regno Unito e nella Francia per i sindacati è invece diventato molto difficile a giocare un proprio ruolo.
Rassegna Alla base delle polemiche contro la concertazione – o più in generale contro l’assunto che le decisioni sulle grandi questioni vanno discusse e se possibile condivise con gli attori sociali – c’è l’idea che questa prassi rallenterebbe la possibilità da parte dei governi eletti di decidere e dunque agire rapidamente. È d’accordo con questa visione?
Crouch La mia risposta è semplice. Il decisionismo va bene se le decisioni sono buone. Ma nel caso siano sbagliate? Cosa succede? Oggi si pone troppa enfasi sulla fretta, i notiziari lanciano news per 24 ore al giorno, i mercati chiedono rapidità, ma il risultato è che si fanno sempre più errori. Tutto ciò è molto evidente se si guarda alla politica europea sul futuro dell’euro. Sono in gioco scelte e decisioni che avrebbero bisogno di tempo, discussioni approfondite e pianificazioni accurate. Ma i mercati questo non l’accettano, e dunque si producono una serie di pasticci.
Rassegna La Germania è da tutti additata come la maggior colpevole per la persistente mancanza di soluzioni alla crisi europea. In ogni caso all’interno il sistema concertativo sembra funzionare bene, o almeno così lo percepiamo…
Crouch La Germania si trova nella condizione di dover pagare per un nuovo ordine continentale e dunque vuole un’Europa credibile. Non la si può colpevolizzare per questo. Tuttavia mi chiedo: perché i tedeschi e la stessa Ue e anche l’Fmi insistono su soluzioni neoliberali, quando i paesi del Nord con le migliori economie – e la stessa Germania – non seguono questo modello? Mi sembra che in questo caso conti molto l’ideologia.
Rassegna In Postdemocrazia lei ha delineato la crisi della politica moderna come crisi di partecipazione da parte dei cittadini. Il paradosso è che sulla rete, sui blog, pare invece aumentare una forma di partecipazione scomposta, puramente emotiva e impulsiva alla politica. Quale spazio hanno o dovrebbero avere le grandi organizzazioni – sindacati e partiti, soprattutto – in questo contesto?
Crouch Prima notavo come in tutti i paesi del mondo avanzato diminuiscano fortemente gli iscritti ai sindacati, particolarmente tra i giovani. Questo, tuttavia, non vuol dire che le nuove generazioni non si interessino alle questioni importanti del proprio tempo. I giovani sono spesso protagonisti di movimenti assai importanti, ma non trovano attrattive le grandi organizzazioni come i sindacati. Le organizzazioni dei lavoratori devono capire come rivolgersi alle generazioni, magari a partire da un uso consistente dei nuovi media.