Il 25 marzo 1957 vengono firmati i Trattati di Roma: il primo istituisce la Comunità economica europea (cui aderiscono sei Paesi – Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi – con l’intento di collaborare insieme all’integrazione e alla crescita economica attraverso gli scambi commerciali e un mercato comune basato sul libero movimento e la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali), il secondo la Comunità europea dell’energia atomica, meglio conosciuta come Euratom. Se nei confronti della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio istituita nell’aprile 1951) aveva fatto propria inizialmente la posizione della Fsm (Federazione sindacale mondiale), che aveva parlato di un “cartello dell’acciaio e del carbone strumento di preparazione della guerra”, dopo la firma dei Trattati di Roma, la Cgil compie un’analisi più realistica, seppur critica, dei processi in atto sul piano europeo.

Nel luglio 1957, in un dibattito parlamentare sulla ratifica dei Trattati di Roma che di fatto riassume l’evoluzione europeista dei socialisti e l’isolamento comunista sul tema dell’Europa (la posizione negativa espressa dal Pci sarà sottoposta a revisione solo a partire dai convegni dell’Istituto Gramsci del 1962 e del 1965 sulle tendenze del capitalismo italiano ed europeo), uno spazio di dialogo fra i due principali protagonisti della sinistra italiana è garantito proprio dalla Cgil, che nella risoluzione unitaria approvata dal Comitato esecutivo del 19 luglio 1957 (leggi qui il documento) riconosce nel Mercato comune europeo “esigenze obiettive, quali la necessità di garantire più ampi mercati ai progressi in atto della tecnica produttiva, di coordinare gli sforzi per lo sfruttamento più razionale di tutte le risorse tecniche, energetiche e umane, di garantire uno sviluppo sempre più rapido delle regioni economicamente arretrate, le quali costituiscono una remora alla stabilità economica di tutte le nazioni europee”.

I trattati di Roma sulla stampa dell’epoca

Malgrado gli inconvenienti di natura transitoria che possono derivare per alcune attività produttive e non ignorando  i “pericoli che il trattato del Mercato comune europeo comporta, sia per il quadro politico e militare in cui il trattato è stato concepito, sia per gli orientamenti dei suoi promotori”, il Comitato esecutivo confederale ritiene che “ogni iniziativa nazionale e internazionale, anche limitata ad alcuni Paesi, che si proponga, nell’ambito di una politica di pace, di portare ad effettiva soluzione i problemi economici e sociali connessi ad una integrazione economica dell’Europa … vada appoggiata e incoraggiata, perché può recare, in prospettiva, un contributo fondamentale e – in una certa misura – insostituibile allo sviluppo generale delle economie europee e al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori”.

È sulla base di queste convinzioni che la Cgil partecipa al IV Congresso della Fsm, che si tiene a Lipsia nell’ottobre dello stesso anno. La posizione della confederazione è rappresentata nel dibattito al congresso da Giuseppe Di Vittorio (“Il Mercato comune non può essere liquidato sommariamente, ma è una novità importante che deve offrire lo spunto per l’unità d’azione con i sindacati socialdemocratici”) e da Fernando Santi (“Se sono da condannare le adesioni incondizionate al Trattato, anche le posizioni pienamente negative diventano sterili se non comportano per i sindacati compiti precisi per la difesa dei lavoratori”), entrambi critici con la relazione del segretario generale Saillant proprio a proposito del Mec.

Afferma Santi nella suo intervento: “Sotto questo aspetto mi duole dire che le enunciazioni del compagno Saillant sui problemi posti dal Mec non mi paiono adeguate e sufficienti …. La Cgil – senza alcuna distinzione di correnti – si è trovata d’accordo nel denunciare i seri pericoli che il Trattato del Mercato comune comporta …”. Nello stesso tempo però la Cgil prendeva “realisticamente atto della tendenza verso nuove forme di intesa economica internazionale e di integrazione dei mercati”. “A mio avviso – prosegue Santi – vi sono le basi per una politica unitaria su scala europea che affronti i problemi del Mec …. Quando entrerà in funzione il Mercato comune, nuovi e più gravi problemi sorgeranno. È sufficiente pensare a quello dello spostamento della manodopera. Dobbiamo prepararci sin d’ora. È necessaria un’iniziativa della Fsm su scala europea. È necessario ricercare il rapporto con altri sindacati. Un comitato consultivo delle organizzazioni della Fsm dei sei Paesi potrebbe essere il punto di partenza per un’intesa con altri sindacati”.

Alle tesi italiane risponde il segretario della Cgt francese Benoit Frachon in termini che non lasciano dubbi sulla distanza che separa le due confederazioni sul tema dell’unificazione: “Noi non alimentiamo l’illusione pericolosa di addomesticare questa macchina infernale creata dai monopoli per iniziativa dell’imperialismo americano che è il Mercato comune”, dice Frachon. Aggiungendo subito dopo: “L’interesse dei lavoratori di tutti i Paesi è di battersi per la sua distruzione”.

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale