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“Le mafie si possono studiare, analizzare, raccontare con efficacia, ma è difficile capirle a fondo senza aver conosciuto le loro vittime, senza aver sentito sulla pelle, per contagio emotivo, quegli spari”. Queste parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, spiegano molto bene il senso del 21 marzo, giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Da 23 anni, il primo giorno di primavera, l'associazione di “nomi e numeri contro le mafie” ricorda, ostinatamente, in un interminabile rosario civile, le oltre 900 persone innocenti uccise nel nostro paese per mano della criminalità mafiosa. E lo fa scandendo i nomi, tutti i nomi, quelli universalmente noti, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e quelli molto meno conosciuti di donne e uomini, giovani e meno giovani, italiani, migranti, ragazzi e persino bambini. Perché quella del presunto riguardo dei mafiosi verso le giovani vite è solo una menzogna.
Tutto inizia nel 1993 dal dolore di una donna, Carmela Montinaro, madre di Antonio, caposcorta del giudice Falcone, saltato in aria un anno prima nella strage di Capaci. Il nome di suo figlio, come quelli dei suoi colleghi Vito Schifani e Rocco Dicillo, non viene pronunciato quasi mai nelle commemorazioni pubbliche. Loro sono solo “i ragazzi della scorta”. Di questo Carmela soffre e ne parla proprio a don Luigi Ciotti: “Perché il nome di Antonino non lo dicono mai? - domanda la donna – Eppure è morto come gli altri”. Da lì a breve nascerà Libera che avrà proprio nella memoria delle vittime innocenti delle mafie e nel sostegno ai loro familiari la sua missione fondante.
Ma chi sono queste 900 e più persone uccise dalle mafie? Non è facile catalogarle, perché la violenza mafiosa colpisce indistintamente: dai semplici cittadini alle forze di polizia, dai magistrati agli avvocati, dagli imprenditori ai commercianti, dai preti ai politici, dai giornalisti ai sindacalisti, moltissimi sindacalisti.
Libera calcola che le vittime delle mafie riconducibili al mondo del lavoro (in particolare contadini e dirigenti sindacali) siano 87. Si tratta di una delle categorie in assoluto più colpite dalla violenza mafiosa. E anche qui, accanto ai nomi più noti, come Placido Rizzotto e Pio La Torre, ce ne sono molti altri che rischiano l'oblio. Il 21 Marzo serve proprio a restituire pari dignità anche a loro, come a tutte le vittime.
Quest'anno sarà Foggia la piazza principale della Giornata della memoria, perché è nel territorio della Capitanata, come in quello di Napoli, che si spara e si uccide ancora, troppo spesso in un inspiegabile silenzio mediatico. Libera ricorda che dall’inizio del 2017 sono 17 le persone morte ammazzate in provincia di Foggia (620mila abitanti), cui si aggiungono due casi di 'lupara bianca'. “Un dato tanto impressionante quanto ignoto – denuncia l'associazione antimafia – e la criminalità organizzata del foggiano vive dell’ignoranza che la circonda. Così, la manifestazione del prossimo 21 marzo serve innanzitutto a questo: generare consapevolezza e colmare un ritardo storico, figlio della sottovalutazione”.
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Ma Foggia e la Puglia sono anche la terra di altre vittime, quelle del caporalato, come Incoronata Sollazzo e Incoronata Ramella, morte nell’incidente di un pulmino, sovraccarico di braccianti diretti verso il loro lavoro sfruttato nelle campagne. O come Hyso Telharaj, ragazzo albanese morto ammazzato a soli 22 anni, perché aveva avuto il coraggio di opporsi alla violenza dei caporali. Il suo nome oggi è quello di un vino, il primo prodotto sui terreni confiscati alla mafia nel brindisino dalla Cooperativa Terre di Puglia.
Lo scorso anno, alla vigilia del 21 marzo che si celebrava a Locri, sui muri della città calabrese comparve la scritta “Più lavoro e meno sbirri”. “Da sempre sosteniamo che il lavoro, insieme alla cultura, all’istruzione e alle politiche sociali, è il primo antidoto alle mafie – spiega don Ciotti - Ma dev’essere un lavoro onesto, tutelato da diritti, non certo quello procurato dalle organizzazioni criminali, che è una concessione che implica sempre una servitù, una fedeltà imposta, una reverenza timorosa”.